La luce è la mano sinistra dell’oscurità

e l’oscurità la mano destra della luce.

Due sono uno, vita e morte, giacciono insieme

come gli amanti nell’amore,

 come le mani unite,

 come la fine e la via.

Ursula Le Guin, The Left Hand of Darkness

Ursula Le Guin è stata a lungo con noi «terrans»; con pazienza e con perseveranza ha parlato di cecità e ristrettezze del mondo in cui ha vissuto, che è anche ilnostro, descrivendo possibili alternative pur imperfette ma tutte in divenire – ora se n’è andata su un altro pianeta lasciandoci più soli.Impossibile parlare in breve e nel momento dell’emozione dei molti aspetti della sua opera – era dedita alla scrittura in modo infaticabile, dimostrazione e omaggio alla forza del lavoro femminile –se non limitandoli a cenni ad alcuni dei suoi mondi.

The Left hand of Darkness (1969), sin dallo splendido titolo, promette un rovesciamento di prospettive. I mondi che vi si confrontano sono l’ Ekumene, unione di pianeti di cui Terra è parte, e il pianeta Gethen. La confederazione è un’entità pacifica che,come dice Genli Ai, il terrestre che ne è ambasciatore su Gethen, non impone dominio, non detta regole ma coordina, e desidera accogliere Gethen in amicizia, togliendolo dal suo isolamento. Il rapporto tra i due protagonisti, il terrestre e il suo alleato e amico Thefrem Estraven, non è di opposizione o valore, mapiuttosto di complementarità e racconta la storia del progresso difficile e lento verso l’alterità.

Su Gethenil tempo non è percepito nella sua continuità («sempre l’anno uno qui»)ma nella simultaneità, sottratto aldominio del soggettivo e dello psicologico; c’è il superamento delle differenze di genere, i suoi abitanti sonoevoluti nello sviluppo sociale e corporeo e dotati di una sessualità ambivalente, che risponde a stimoli esterni, con accesso a maternità e/o paternità nella stessa vita, permettendo parentele sovversive. E tuttavia non hanno eliminato le lotte di potere, le faide politiche, la corruzione, e soprattutto la guerra. E accolgono con diffidenza le intrusioni dello «straniero» nella loro società. E tuttavia non c’è distinzione chiara, ogni mondo interroga l’altro, in un ‘queering’ reciproco.

Il romanzo è una storia di emozioni, in contrasto con il freddo che domina il pianeta Gethen; le scene dei panorami di ghiaccio sono tra le più belle in queste pagine, ricordandoci l’essenzialità di simboli e metafore nella scrittura, secondo Le Guin.La cosache più sorprende Genli in Estraven sono le sue lacrime, le lacrime che, come dice Derrida in Penserà ne pas voir (2013), permettonodi vedere l’invisibile, ciò che non c’è ancora e  ciòche non c’è più.

Questo mondo di chiaroscuri, di complessità morale è un modo per spezzare il dominio di neutralità e oggettività, ad esempio nelle scienze umane e sociali; «queer» per lei non è solo sessualità ma anche ripensare il fondamento delle discipline attraverso la costruzione poetica. Tornando per un momento al titolo, luce e oscurità sono due e uno allo stesso tempo, come paura coraggio, freddo calore. donna uomo. «Come te stesso, Therem», dice Genli al suo compagno. «Sei ambedue e uno. Un’ombra sulla neve». Lo dirà a proposito della nostalgia che, nonostante tutto, loro sentono per le ‘donne’ così come sono ancora conosciute sulla terra, ma aggiunge: «infine siamo uguali, uguali, alieni, soli», parlando della loro comune solitudine come specie.

Sono tanti i racconti in cui Le Guin parla di pianeti in cui ‘la parola per foresta è mondo’ o della comunanza interspecista.In The Carrier bag of Theory, tra molti altri, presenta una capace borsa della spesache contiene teorie e pensieri, semi di acacia, formiche e farfalle, foglie, conchiglie egusci.Donna Haraway, in Staying with the trouble,  dice  che Le Guin le ha insegnato la teoria del narrare insieme alla storia natural-culturale e alle dimensioni di un mondo umananimale. Le sue teorie come le sue storie sono capaci borse della spesa per raccogliere, portare, e ri-narrare la stoffa della vita.

Vorrei concludereinfine conun suo libroche non appartiene alla fantascienza, Searoad (1991), una raccolta di racconti apparentemente non collegatitra loro eccetto per il luogo, un villaggio costiero dell’Oregon. Hernes, l’ultimo racconto e il più lungo,presenta quattro donne bianche, accanto al fantasma di un’indigena, unica sopravvissuta del gruppo che occupava il villaggio nel passato e ne è stato spossessato.«Mi ha detto abbiamo lo stesso nome…», dice la bisnonna Fanny  che l’ha incontrata nel 1899 (prima aveva un altro nome ma non lo vuol dire) e continua: «Ho comprato un cestino da lei per due monete. È una piccola cosa carina. I suoi figli sono morti prima che i bianchi si stabilissero qui. Tutti morti in un anno». Le dice anche il nome del villaggio, Klatsand, forse prima ne aveva un altro, tutte memorie di una vita cancellata dai sopravvenuti. Allo stesso modo, tutti gli abitanti si sono estinti, contagiati dalle loro malattie; solo cinque donne erano sopravvissute, quattro diventarono prostitute, poi anche loro sono morte, lei l’unica rimasta.

Di madre in figlia, in una genealogia familiare puntigliosamente annotata, la vita delle quattro donne, si dispiega tra sovrapposizioni, ritorni indietro e salti nel futuro,presumibilmente nella visione della pronipote Virginia, l’ultima delle quattro, scrittrice di libri di poesie, oltre che di uno su Virginia Woolf. Le donne sono davvero esistite o forse no; Virginia (un’omonimia non casuale) si muove sul confine labile tra finzione e realtá, com’è quello della scrittura. Probabilmente le donne sono le antenate di Ursula Le Guin, e Virginia è la scrittrice stessa; è con sorpresa che scopro che i libri elencati nella bibliografia finale che chiude il racconto su Virginiasono quelli pubblicati da Le Guin fino al 1983.

Lei le descrive, forse le crea, non importa; è la vittoria dello sguardo femminile su un mondo di donne. È accaduto nel finale di The Left Handof Darkness, quando dall’astronave dell’Ekumene scende Lang Heo Hew,ancora una donna, a portare il sigillo dell’amicizia a un mondo dove la differenzasessuale è superata. In una introduzione al romanzo sui caratteri della fantascienza, Le Guin dice: «la sola verità che posso dire è una bugia… la verità è materia dell’immaginazione».