“Pueblo wayù, presente. Pueblo pemon, warao, yupka, kumé, karina…” Nomina tutti i 43 popoli indigeni presenti nel paese, Nicolas Maduro, al termine di una lunga marcia che ha portato i nativi a Miraflores. Vengono consegnati titoli di terra sulle aree espropriate al latifondo, e finanziamenti per i progetti produttivi che mirano a rilanciare dall’interno l’economia. Si raccolgono i progetti eco-socialisti: per decidere come sfruttare le risorse dell’”arco minerario dell’Orinoco” senza distruggere l’ambiente.

Una straordinaria mobilitazione “contro le ingerenze imperiali”, nello specifico quella di Luis Almagro, Segretario generale dell’Osa, che vuole sanzionare e sospendere dall’organismo il Venezuela applicando la Carta democratica interamericana. Per il momento, la discussione programmata da Almagro tra il 10 e il 20 giugno, è stata anticipata da un pronunciamento condiviso da tutti gli stati dell’Osa: con la sola voce contraria del Paraguay, sospeso e poi riammesso dopo il golpe parlamentare dopo Fernando Lugo del 2012.

L’iniziativa diplomatica, avviata dal Venezuela mesi addietro, ha messo alle strette anche Usa e Canada e i loro vassalli sudamericani, dopo una serrata discussione a porte chiuse. Con una premessa amichevole nei confronti della Repubblica bolivariana, il documento in 4 punti ha appoggiato il dialogo tra governo e opposizione, avviato da Unasur, da ex presidenti guidati dallo spagnolo José Zapatero e con il sostegno di papa Bergoglio.

Stando alla lettera, il compromesso sottoscritto dalle rappresentanze diplomatiche bolivariane non è di poco conto: i mediatori proclamano la difesa della democrazia rappresentativa, e non di quella “partecipativa e protagonista” che differenzia la Costituzione attuale da quella della IV Repubblica, e declina i passi del “socialismo umanista” venezuelano. Un altro punto ribadisce però il diritto del Venezuela a cercare soluzioni al proprio interno, senza imposizioni coloniali.

E questo è andato di traverso all’arco di poteri forti che, dagli Usa all’Europa, passando per l’America latina, premono per stringere il cappio intorno al chavismo. In America latina, in molti, adesso, chiedono le dimissioni di Almagro, rimproverandogli di aver abusato del suo ruolo. In un nuovo messaggio twitter, Almagro ha però ribadito l’intenzione di procedere con il voto richiesto. E ha nuovamente copiato un twitter dell’opposizione venezuelana più oltranzista: quella che non accetta il dialogo se prima non ottiene l’impunità per golpisti e banchieri fraudolenti e la rimozione di Maduro dal governo. Su 160 twitter inviati da Almagro nel 2016 – ha rilevato la ministra degli Esteri venezuelana Delcy Rodriguez – il 36,4% erano diretti contro il Venezuela e riprendevano affermazioni dell’opposizione.

Negli Stati uniti, The Washington Post ha dedicato il suo editoriale del venerdì alla vicenda: per chiedere al governo Usa di “appoggiare” la posizione di Almagro, e per criticare “la non-risposta” orchestrata dalla ministra degli Esteri argentina nonostante le dichiarazioni del suo presidente Macri, e avallata per ora dalla diplomazia di Obama. The Washington Post ritiene invece prioritario spingere per arrivare in fretta al referendum revocatorio contro Maduro e ribadisce la posizione riassunta dall’articolo del 13 aprile: “Il Venezuela chiede disperatamente un intervento politico”.

Ieri, il partito Primero Justicia, dell’ex candidato presidenziale antichavista, Henrique Capriles, ha portato due asini davanti al Consejo Nacional Electoral (Cne), dove si sta svolgendo il controllo elettronico delle firme raccolte per mettere in moto la prima fase del revocatorio. Asino in spagnolo si dice “burro” e le destre storpiano in Ma-burro il cognome del presidente. L’altro somaro era per la presidente del Cne, Tibisay Lucena, oggetto di discredito, minacce e insulti maschilisti.

Intanto, il chavismo ha comunicato che le firme ritenute false o contraffatte sono già arrivate a oltre 11.000: fra queste, “10.000 morti, 312 detenuti che non avrebbero potuto firmare. Una firma su tre, presenta irregolarità”, ha detto il capo della commissione di controllo bolivariana, Jorge Rodriguez. Quella più allarmante riguarda il giovane capo-banda detto “El Picure”, morto in un recente scontro a fuoco con la polizia. Durante la campagna elettorale dello scorso dicembre, che ha consegnato il Parlamento all’opposizione, El Picure aveva espresso il suo appoggio alle destre e minacciato Maduro. Secondo le indagini del noto giornalista (non chavista), Javier Mayorca, la sua banda è composta da ex poliziotti e da ex militari. E in questi giorni è stata “commissariata” la polizia municipale del municipio di Chacao (uno dei fulcri delle violenze del 2014), per l’assassinio di un alto funzionario della Milizia bolivariana.

Le destre oltranziste vanno ben oltre gli show di Capriles, che non riconoscono come leader. Maria Machado avverte “che ci saranno altri morti”. Insieme a Leopoldo Lopez e Antonio Ledezma, nel 2014 la ex deputata ha scatenato la campagna “la salida” (43 vittime – soprattutto fra le forze dell’ordine – e oltre 850 feriti). Ora cerca di far esplodere la situazione per provocare l’intervento esterno. Preme soprattutto sui quartieri popolari.

Per aggirare il sabotaggio, l’accaparramento e il mercato nero (il pacco di pasta che abbiamo comprato nello stesso negozio è aumentato di 1000 bolivar al giorno – quasi 2 euro, a fronte di un salario minimo di circa 15.000 bolivar -), il governo ha istituito la distribuzione casa per casa degli alimenti (i Clap). Ma anche su questo le destre hanno annunciato battaglia. Ieri vi sono stati tafferugli. Alcuni giornalisti di opposizione hanno denunciato di essere stati malmenati dai “collettivi” chavisti. Il Ministerio Publico ha aperto un’inchiesta.

Intanto, a Ginevra viene dato un “premio ai diritti umani” all’ex sindaco della gran Caracas Antonio Ledezma, accusato di golpismo e violenze e agli arresti domiciliari. Nella IV Repubblica, quando Ledezma era governatore, la polizia sparava sugli studenti e sui lavoratori. Nel ’93 è morta anche una giornalista che seguiva una manifestazione di protesta all’università. Nel quartiere Los Ruices – dove lo scorso mese si sono verificati diversi linciaggi -, a sera è tornato anche il torvo gruppo di “preghiera” che abbiamo visto durante le “guarimbas”. Ha chiesto alla Vergine di Coromoto di liberarli “da Maduro e dal comunismo”, mentre gli oltranzisti bloccavano la strada per qualche ora.

Ieri, a Cuba, aprendo il VII vertice dell’Associazione degli stati caraibici, il presidente Raul Castro ha pronunciato un duro discorso contro l’Osa: “Dovrà unirsi il mare del Nord e quello del Sud perché Cuba rientri all’Osa, che è stata, è e resterà uno strumento irriformabile dell’imperialismo. Non possiamo restare indifferenti di fronte al turbolento attacco imperialista”, ha detto in una vibrante difesa di Maduro e della rivoluzione bolivariana. Castro ha espresso forte solidarietà anche alla presidente brasiliana, Dilma Rousseff. Maduro – il cui paese dispensa molti proventi del petrolio a finanziare progetti congiunti con l’Acnur nei campi di rifugiati – ha denunciato le politiche di guerra che destabilizzano i paesi e provocano miseria e disperazione. Al contrario – ha detto – le nuove alleanze solidali dell’America latina e dei Caraibi agiscono per la pace e il rispetto. “Non si può rompere l’equilibrio della regione per far cadere il governo bolivariano, non è tempo di ingerenze, ma di rispetto”. E in tutto il Venezuela si sono svolte imponenti manifestazioni antimperialiste, in difesa della sovranità del paese.