È la sera dei miracoli, delle cose-che-non-accadranno-mai e invece accadono, delle sorprese che spostano il mondo di un po’. Di poco, pochissimo, ma il mondo si è spostato.

IL PASTORE NERO di una chiesa battista diventa senatore in Georgia. È il primo democratico da quasi trent’anni. Il primo nero in Georgia. Il primo nero democratico in tutto il Sud, l’enorme profondo Sud dove la guerra civile non è mai finita davvero, dove ancora girano i cavalieri incappucciati e dove nella stessa acqua nuotano animali non sfiorati dalla selezione naturale come gli alligatori e i democratici di ultradestra, i temuti dixiecrat razzisti e fondamentalisti.

E UN GIOVANE GIORNALISTA di 33 anni al suo primo vero lavoro, uno che sembra Joe Biden da piccolo, è a un passo dal vincere l’altro seggio al Senato contro un plutocrate maneggione che ha firmato più speculazioni di borsa che interrogazioni parlamentari. Consegnando con questo il Senato al presidente eletto Biden, insieme all’inestimabile dono delle mani libere.

È LA SERA DEI MIRACOLI per Raphael Warnock, undicesimo dei dodici figli di una coppia di Savannah, entrambi pastori pentecostali, che a 36 anni divenne il parroco della chiesa di Martin Luther King e a 51 diventa il primo nero democratico a entrare al Senato arrivando da sud. Ha battuto per 56mila voti (su 4,4 milioni) la senatrice più ricca dei già molto ricchi senatori repubblicani americani, Kelly Loeffler, una che non è mai stata eletta – venne nominata in sostituzione di un senatore malato – ma era così foderata di milioni da rendere impensabile che potesse fallire. Una che è diventata più trumpista di Trump nel peggior momento possibile, appoggiando ogni tentativo di sovvertire le elezioni per via giudiziaria e dipingendo il rivale come un efferato comunista nutrito di marxismo e bambini.

 

 

«È il candidato più radicale e pericoloso ad aver mai tentato di essere eletto al Senato» disse Trump a un comizio con Loeffler in Georgia, e per mesi la senatrice uscente ha battuto solo su quel tasto. Con poca fortuna. «Di solito quando andavo al Campidoglio – le prime parole del neo-eletto – i poliziotti mi arrestavano. Quando ci tornerò questa volta, gli stessi poliziotti mi aiuteranno a trovare il mio nuovo ufficio!».

ED È LA SERA DEI MIRACOLI anche per Jon Ossoff, il Biden cucciolo con tre lauree e alcuni anni spesi ad assistere un parlamentare, un moderatissimo che è piaciuto anche a Bernie Sanders e che come Biden piace al grande capitale, che attraverso l’establishment democratico lo ha munito dei milioni necessari ad affrontare l’uscente senatore David Perdue. Al primo turno, Perdue ha mancato il 50% per 13mila voti circa. Al ballottaggio, con il 98% di seggi scrutinati, ieri sera stava perdendo per circa 18mila voti, lo 0,4%, di nuovo un soffio – così tenue da rendere automatico il riconteggio dei voti. Ossoff ha dichiarato vittoria, ma per vincere davvero il seggio e con esso l’intero Senato i democratici dovranno attendere l’intera liturgia elettorale dei controlli, dei ricorsi, delle sentenze e degli appelli.

La macchina da guerra post-elettorale voluta da Trump e guidata da Rudy Giuliani finora non ne ha imbroccata una. Però…

CHIAVI DI LETTURA? I neri battisti delle aree urbane sono andati a votare più di prima, i bianchi evangelici delle zone rurali meno. La chiave aritmetica è qui, nella differenza tra fasce di popolazione politicamente ben definita, che il surreale comportamento di Trump – «Ci hanno rubato anche il ballottaggio», ha detto ieri – hanno diversamente mobilitato, i primi in massa verso le urne e i secondi tanto disorientati da disertare.

MA LA CHIAVE POLITICA è un’altra e l’eroina del giorno è Stacey Abrams, la leader dei democratici georgiani, sconfitta di un soffio nel 2018 dal governatore repubblicano Kemp, che dal 2013 ha avviato una politica di motivazione e di arruolamento dei progressisti (tutti, non solo i neri) nei registri elettorali. Una cosa lenta, metodica, organizzata e inesorabile – consumando la suola delle scarpe più che i vestiti da sera delle cene di finanziamento. Significa passare quattro anni per le strade o nei seminterrati delle chiese battiste, invece di sei frenetici mesi nelle ballroom dei grandi alberghi di Atlanta dove le grandi aziende infilano grandi assegni nei salvadanai dei candidati.

Come in molti altri stati, in Georgia i repubblicani si sono impegnati allo spasimo a togliere elettori dai registri, con controlli di residenza politicamente mirati su neri e popolazione urbana povera. Ne ha fatto le spese persino la cugina 94enne di Martin Luther King, Christine Jordan, che dopo mezzo secolo di voti nello stesso seggio è tornata a casa in lacrime perché il suo nome risultava «trasferito». Come quello di altri 540mila georgiani in due elezioni, nel 2018 e poi in queste.

MA MENTRE I REPUBBLICANI erano impegnati a svuotare i registri elettorali da ogni nome scomodo, Stacey Abrams è stata impegnata a riempirli, attraverso il suo New Georgia Project. E non solo di neri. Ma di latinos e di asiatici-americani che sempre più risiedono in Georgia, di giovani attirati da Atlanta (che ha mezzo milione di abitanti ma per gli standard locali è una metropoli), di popolazione istruita disposta a pagare tasse ma in cambio di servizi pubblici. Insomma, ha seguito l’evoluzione sociale del suo stato.
La blackness è una bella cosa ma è condannata alla minorità. Il multiculturalism no. Si chiama fare politica, e farla davvero.