Da quando è stato eletto presidente nel 2015 John Magufuli, la Tanzania ha avuto una costante crescita del reddito procapite e del Pil (in media il 7% all’anno), l’inflazione è in continua diminuzione e si assesta nel 2019 al 3,7%, più 3,1% di entrate fiscali, la disoccupazione è sotto il 2% (in Italia 10,4%) e poi ci sono i mega-progetti, fulcro della politica del presidente non a caso chiamato “Bulldozer”: in costruzione il più grande stadio dell’Africa, la seconda più grande diga del continente, oltre 30 progetti che promuovono la Tanzania come Paese moderno, ma su cui donatori e investitori nutrono qualche dubbio in termini di sostenibilità finanziaria. Ad esempio sono state abolite con soddisfazione di tutti le tasse scolastiche, ma l’effetto, data la mancanza di aule è stato il ritrovarsi insegnanti con 130 allievi a fare lezione sotto un albero.

LA CRESCITA ECONOMICA non si è trasformata in maggiore libertà, al contrario: a partire dal 2015 è cresciuta costantemente la repressione nei confronti dei media, dei difensori dei diritti umani e dei partiti dell’opposizione. Per rendersene conto è sufficiente leggere gli ultimi due rapporti di Amnesty International (The Price We Pay: Targeted for Dissent by the Tanzanian State – Il prezzo che paghiamo: colpiti per il dissenso in Tanzania) e Human Rights Watch (As Long as I am Quiet, I am Safe: Threats to Independent Media and Civil Society in Tanzania – Fintanto che sono tranquillo, sono al sicuro: minacce ai media indipendenti e alla società civile in Tanzania).

HRW ha intervistato 80 giornalisti, blogger, avvocati, rappresentanti di organizzazioni non governative e membri di partiti politici mentre Amnesty International ha intervistato 68 funzionari governativi, rappresentanti di gruppi non governativi e intergovernativi, avvocati, accademici, leader religiosi e diplomatici e ha analizzato le decisioni dei tribunali, le leggi nazionali e le comunicazioni del governo. Il risultato dell’analisi dei due report mostra che le autorità tanzaniane hanno minato i diritti alla libertà di espressione e associazione e alla libertà dei media applicando leggi repressive nei confronti di media, organizzazioni non governative e partiti politici.

IL PRESIDENTE e alti funzionari del governo hanno spesso rilasciato dichiarazioni contro i diritti umani, a volte seguite da repressioni su individui e organizzazioni. La pericolosa retorica, unita a minacce e arresti arbitrari, ha minato l’indipendenza dei giornalisti e della libertà di espressione anche in vista delle prossime elezioni.

Secondo Roland Ebole di Amnesty International «il Presidente Magufuli deve riflettere attentamente sull’operato del suo governo, vanno abrogate tutte le leggi che reprimono il dissenso e bisogna porre fine urgentemente alle violazioni dei diritti umani». Dello stesso avviso Oryem Nyeko di Human Rights Watch, secondo cui «le autorità devono porre fine alle molestie, alle intimidazioni e agli arresti arbitrari di attivisti, giornalisti e membri dell’opposizione».

DAL 2015 IL GOVERNO ha intensificato la censura vietando o sospendendo almeno cinque giornali per contenuti ritenuti critici. Questi includono il principale quotidiano della Tanzania in lingua inglese, The Citizen. La Zanzibar Broadcasting Commission ha chiuso una stazione radio, Swahiba FM perché avrebbe trasmesso l’annuncio da parte di Maalim Seif Sharif Hamad, leader del partito di opposizione Civic United Front, di essere il vincitore delle elezioni, poi annullate. Le autorità hanno utilizzato il Cybercrimes Act del 2015 contro giornalisti e attivisti per i post sui social media. È stata inoltre promulgata nel 2015 la Statistics Act che punisce chiunque metta in dubbio le statistiche ufficiali attraverso ricerche indipendenti. Su questo si è detta preoccupata anche la Banca Mondiale. In pratica è impossibile pubblicare sondaggi se non approvati dal governo. Nel 2018, la Commissione per la scienza e la tecnologia ha impedito all’associazione Twaweza di pubblicare il sondaggio «La voce dei cittadini», che evidenziava un calo di consensi del presidente Magufuli.

NEL GENNAIO 2019, il parlamento ha poi modificato la legge sui partiti politici introducendo restrizioni ancora più ampie sui diritti alla libertà di associazione e di riunione pacifica. C’è stato poi il divieto di svolgere attività politiche fino alle elezioni del 2020, ma applicato in modo selettivo solo nei confronti dei partiti di opposizione. E ancora incidenti a parlamentari dell’opposizione, come quando nel 2017 persone mai identificate hanno sparato a Tundu Lissu del partito Chadema.

Il tutto pare un effetto dell’asse Cina-Tanzania-Burundi: è sufficiente l’economia non servono i diritti, ma per parafrasare il poeta greco Archiloco «l’economia dice molte cose della vita di un Paese, ma la libertà ne dice una grande».