«Il futuro è nell’auto elettrica, è inevitabile. Non si può sostenere il contrario. E noi in Italia su questo campo siamo in ritardo, c’è il rischio che Fca rimanga troppo indietro».

Ci sono voluti quasi 13 anni perché un ministro di un governo italiano criticasse Sergio Marchionne, sebbene limitandosi alle sue ultime dichiarazioni italiane sull’auto elettrica «arma a doppio taglio».

Nel frattempo l’azienda che – come ricorda il senatore Pd Massimo Mucchetti – «è ancora il più importante datore di lavoro privato in Italia, è diventata olandese e il potere del governo nei suoi confronti è nullo».

Una vera beffa. Specie se la dichiarazione di Delrio arriva ad un convegno organizzato dalla Fiom, e cioé il sindacato che ha più subìto il metodo Marchionne e chiesto invano ai sei governi succedutisi nell’era del manager canado-abruzzese di evitare l’addio all’Italia della Fiat.

Il convegno «Mobilità auto, il futuro è adesso» però è stato tutt’altro che nostalgico. Il punto di partenza dei tanti oratori è stato proprio: «Il futuro è già cominciato» e il tentativo è quello di «governarlo meglio di quanto fatto finora». Le espressioni più usate sono state: «cabina di regia», «pensiero lungo» e «politica industriale», concetto rimarcato da Gugliemo Epifani,

La discussione è partita da un interessante e approfondito rapporto della Fondazione «Claudio Sabattini» e «Giuseppe Di Vittorio» per la prima volta assieme, a sancire la ritrovata unità in Cgil perfino negli enti di ricerca.

Un rapporto che, ragionando a livello globale, denuncia i ritardi di Fca nel campo della ricerca e innovazione, nella mobilità sostenibile, sul mercato cinese, indiano, africano e sudest asiatico.

Ritardi che impattano pesantemente sull’occupazione in Italia: «A Cassino (unica fabbrica auto senza cassa integrazione, ndr) i due prossimi venerdì non si lavorerà perché vanno male le esportazioni in Cina delle Alfa Stelvio e Giulia e se il governo alzerà i dazi le cose potrebbero peggiorare», denuncia il responsabile auto della Fiom Michele De Palma.

In questo quadro ascoltare Delrio per la platea di delegati Fiom è stata quasi una catarsi. Il ministro ha dovuto chiedere cosa fosse successo quando ha finito di dire: «Dopo anni di errori, nei bandi per gli acquisti di autobus abbiamo inserito una clausola da sempre usata in Francia: una parte degli autobus devono essere prodotti da noi». Il brusio era del tutto motivato: la Fiom chiedeva questa norma almeno dal 2011 quando Marchionne chiuse l’Irisbus di Valle Ufita e di autobus in Italia non se ne sono più prodotti.

Per non risultare troppo radicale, il ministro Delrio ha però difeso la linea della «neutralità tecnologica» portata avanti nelle riunioni europee, fatta per salvaguardare la filiera italiana nelle produzioni diesel (Bosch di Bari e VM di Cento) e metano.

Quella che è venuta fuori nei vari interventi è una sorta di doppiezza da parte di Marchionne: in Italia attacca l’auto elettrica e intanto a Singapore presenta una Jeep Renagade completamente elettrica, in più «ha festeggiato l’elezione di Trump perché così può continuare a vendere i pick up inquinanti che gli consentono profitti negli Stati Uniti», ha ricordato Andrea Malan.

Sia Francesco Venturini di Enel che la presidente di Legambiente Rossella Muroni che il direttore scientifico del Kyoto Club Giovanni Silvestrini hanno criticato la «miopia» di Marchionne e spiegato come «con il calare progressivo dei costi delle batterie, le auto elettriche diventeranno appetibili al grande pubblico».

La parte più sindacale è toccata – in mattinata – a Francesca Re David e – nel pomeriggio – al suo predecessore Maurizio Landini. Per l’attuale segretaria della Fiom «il problema è che la famiglia Agnelli con Exor continua a guadagnare dalle mosse finanziarie di Marchionne e non è interessata a dire cosa farà in futuro. Servirebbe l’intervento di Cassa depositi e prestiti per una politica industriale degna di questo nome».

L’attuale segretario confederale della Cgil ha invece sottolineato come «il tema della mobilità mette in discussione i confini delle categorie sindacali: per incidere su tutte queste questioni bisogna darne un carattere vertenziale tramite una mobilitazione che conquisti consenso esterno».