Al di là del valore dei Miracoli metropolitani che Carrozzeria Orfeo ha portato al Vascello (e che prosegue ora la sua densa tournée), il vero «miracolo» è stato quello di vedere un pubblico agguerrito che ha riempito la sala all’inverosimile, come raramente è dato vedere di questi tempi. Per di più un pubblico mediamente piuttosto giovane, che partecipava, rideva e applaudiva, alla faccia della pandemia e delle sue nevrosi indotte.

LO SPETTACOLO in effetti porta in scena diverse problematiche (e comportamenti e gesti collettivi) che partono dai nodi più delicati dell’epoca Covid. La famiglia, e la sua bizzarra composizione, al centro della scena e del racconto, produce cibi da asporto, scoprendo e anzi esibendo tutte le criticità possibili di una attività come questa, da una certa approssimazione culinaria alle scarse sicurezze igieniche. Perché è una «famiglia» estrema, formata da un padre sudato lavoratore, una moglie irrefrenabile «pr» dell’attività quanto di se stessa, che fa virtù di ogni possibile ambizione e desiderio, anche dei più stonati. E così va, tra figli, dipendenti, clienti reali o aspiranti tali, immigrati e clandestini, tutti costretti a confrontarsi e subire condizionamenti e limiti di una vita da vivere oggi, più in fretta possibile, senza certezze acquisite ma con ambizioni fuori misura.
Perché questo bailamme di gesti e controgesti si scontra, senza riuscire a spuntarla, con le difficoltà che la malattia ha moltiplicato e diffuso attorno a noi. Insomma potrebbe essere una fotografia attendibile di quanto forzatamente tutti stiamo vivendo. Compresa (e non «ultima») la questione immigrazione, che porta ciascuno degli interessati a tenersi strette addosso tradizioni e pregiudizi.

LA CHIAVE per affrontare e narrare tutto questo, sta principalmente secondo la tradizione di Carrozzeria Orfeo, nel volgere al comico il racconto, quasi a voler lanciare una commedia all’italiana del 21° secolo, seppur lontana da quella cinematografica dei maestri di allora. Le gag e i quiproquo corrono a ritmo serrato, spesso addirittura uno dentro l’altro, mescolando gli affari e le corna, la furbizia e la dabbenaggine. Per tenere il ritmo certo, ma anche col pericolo evidente di rincorrere una comicità che la tv ha reso massiva, e quasi esaustiva (nel senso anche dell’effetto che produce nello spettatore). Con la caratteristica però, rispetto alla tv, di una accelerazione esasperata nel turpiloquio. Che ovviamente non scandalizza nessuno, ma accentua semmai una poco simpatica sensazione di voler puntare volontariamente al basso (come gusto e come visuale del mondo).
Detto questo, la nuova creazione di Carrozzeria Orfeo (ovvero Gabriele Di Luca, che firma la drammaturgia, e la regia assieme a Alessandro Tedeschi e a Massimiliano Setti, a sua volta in scena e autore delle musiche originali) è destinata a un sicuro successo, nonostante la durata (quasi due ore e mezzo) e qualche eccesso a cui poter ancora smussare gli spigoli.