Miracoli di cartoon. Il primo : cinque capolavori, tutti francesi, in una sola stagione, La tartaruga rossa, La mia vita di Zucchina, Le stagioni di Luisa, La jeune fille sans mains, Tout en haut du monde, con grande imbarazzo dell’Académie des Lumières per l’assegnazione del premio. Secondo miracolo : i primi due, candidati all’Oscar con il vincitore annunciato, il made in Usa Zootropolis. Il terzo : i primi tre sono usciti persino in Italia (La tartaruga rossa, questa settimana, per soli tre giorni, in stretta osservanza al credo dei nostri sedicenti distributori : « Tanto, la gente non ci va »). Dietro i miracoli, una realtà : Cartoon, con il sostegno di Media e Cnc, cioè l’organizzazione di Bruxelles che organizza dal 1999 Cartoon Movie, quest’anno per la prima volta a Bordeaux (dopo Lione e, prima, Potsdan), fucina di coproduzioni di lungometraggi animati, che in due decenni, accelerando il finanziamento di 275 film, per un budget totale di 1 miliardo e 900 milioni, ha reso possibile l’affermazione dell’animazione europea, in particolare della Francia, oggi terza potenza mondiale del cartoon, dopo Usa e Giappone. Il 19mo Cartoon Movie, con la presenza-record di 850 partecipanti da 41 Paesi (dove si son aggiunti per la prima volta Georgia, Ucraina, Israele), 221 buyers, di cui 125 distributori (di quelli veri), è stato un altro passo avanti. In selezione, 55 nuovi progetti, con budget da 2 a 13 milioni di euro. Nella ‘Top 10’ dei film in fieri che, come rivela la direttrice Annick Maes, han calamitato più interesse e partnership : il divertissement-monstre Zombillenium della star del fumetto Arthur de Pins, che sarà scodellato in Francia in autunno ; l’esilarante Le Grand Méchant Renard (un Lupo Alberto alla francese, in anteprima forse a Cannes e sicuramente a Annecy Cinéma d’Animation in giugno), tratto dai fumetti di Benjamin Renner (già regista di Ernest et Célestine) e prodotto da Didier Brunner, ‘patron’ di Kirikou ; Wolfwalkers (un San Francesco all’irlandese) del grande Tomm Moore, regista di Le Chant de la Mer, Oscar europeo e candidato agli Oscar Usa nel ‘15 ; Calamity (ovvero Calamity Jane) di Rémi Chayé, regista di Tout en haut du monde ; Le voyage du Prince, ritorno del decano Jean-François Laguionie dopo Le stagioni di Luisa. Nel severo spicchio di mondanità concesso dal Cartoon Movie, ha spaziato l’omaggio alle ‘Fiandre dell’animazione’ (un concentrato di 22 Studi, cui si devono decisivi contributi a successi planetari, spesso in prossimità-Oscar) e han fatto capolino i tre « registi europei dell’anno », già celebrati e super-coccolati allo scorso Annecy : il vincitore, Claude Barras di La mia vita di Zucchina, Jean-François Laguionie (Le stagioni di Luisa) e Michael Dudok de Wit, che con La tartaruga rossa è l’invidiabile primo cartoonist straniero a collaborare con il mitico Studio Ghibli di Tokyo, produttore principale del film, insieme a Wild Bunch, Arte France, Walt Disney Japan. Da un anno sotto assedio, de Wit, capelli argentati e barba di principe, risponde cortesemente alle domande che l’inseguono da Cannes, dove è stato  premiato a Un Certain Regard, a Annecy, ai Rendez-vous Unifrance di Parigi.
A che si ispira la storia della tartaruga che dopo aver costretto il naufrago a restare sull’isola si trasforma in giovane donna vivendo per sempre con lui?
Nel naufrago solitario c’è Robinson Crusoe. Ma mi sono poi ispirato a favole e mitologia di varie culture, in particolare Grecia antica (le metamorfosi … ) e Giappone, anche per avvicinarmi al mondo dei miei ‘patron’. Denominatore comune in quasi tutti i loro film è l’armonia/disarmonia tra uomo e ambiente : resa in modo universale e, insieme, magico. Da loro viene il frinire delle cicale che pervade il film. È mai stato d’estate in Giappone? È il primo suono che la invade, fin dall’atterraggio.
Il film amplifica un tema, quello del ciclo vitale, sintetizzato dalla ruota nel suo secondo corto, Père et fille, premiato con l’Oscar nel 2001.
È vero. È qualcosa che sento profondamente. Che meraviglia il ruotare del tempo, il succedersi delle generazioni. Nel mio corto, una bambina fa il suo ingresso nel mondo, pianeta sconosciuto, cresce, diventa donna, invecchia e sparisce. E già scàlpita la nuova generazione. Mi commuove questa idea di morte e rigenerazione, anche in altri contesti : foto, romanzi … È un perno di La tartaruga rossa : il figlio che affronta l’ignoto staccandosi dalla famiglia, il padre che muore, la madre che torna alla natura. La natura, anche nel senso di natura umana, è al cuore del film : dove ho cercato di dimostrare la possibilità d’una pacifica convivenza e perenne armonia. L’uomo è natura.
Com’è nata la committenza nipponica ?
Avevano visto il mio corto Père et fille. Sono stati subito chiari : ‘Non vogliamo un film giapponese’. Ho tenuto i contatti, non con l’astrale Hayao Miyazaki, ma con Isao Takahata che ha esordito così : ‘Dimentica lo Studio Ghibli : proponi uno stile grafico e un soggetto che siano tuoi’. Ho cominciato con i colori, piuttosto inabituali per lo Studio. E loro : ‘Ottimo’. Non hanno nemmeno voluto ch’io lavorassi a Tokyo : non c’è un solo giapponese nella mia équipe, tutta di francesi e italiani. Ho provato a chiedere qualche loro consulenza, perché hanno un talento unico per far vivere la natura con tocchi elementari : i film Ghibli sono ovunque ammirati per le atmosfere dense e essenziali. Ma sono stati irremovibili nel non interferire. Naturalmente avevano le loro idee, con Takahata che tagliava netto : “Questo è quanto sentiamo noi, ma il film è tuo. Sta a te decidere”. 
Da leggenda anche la lavorazione del film : 9 anni ?
Tre per la sua fabbricazione tecnica : animatori, assistenti, autori dei backgrounds. Ma per me sono stati 9 anni, passati soprattutto a sviluppare il progetto. E da quando il film è uscito sono occupato a tempo pieno nella

promozione, senza farmi distrarre da nuovi progetti. Dunque in tutto, per me, 10 anni. Sinora.
Rileggendo Robinson Crusoe alla luce del suo film : che sarebbe successo se Robinson, invece di Venerdì, avesse incontrato la Tartaruga rossa?
Chissà – ride il regista –, l’avrebbe forse mangiata ! Ma se l’avesse incontrata già in forma di donna, ne sarebbe stato, credo, molto felice. Pativa talmente la solitudine … Ma temo che, come aveva tentato di convertire Venerdì al Cristianesimo, avrebbe insegnato alla donna il catechismo…