«Quando guardo oggi il mio bambino penso che abbiamo preso la decisione più bella e più giusta della nostra vita. Sono molto orgogliosa del percorso che ho fatto, di aver superato quell’anno orribile in cui ho scoperto di non poter avere figli e di non poter ricorrere all’eterologa rimanendo in Italia». La chiameremo Adele, la donna padovana di 44 anni che oggi guarda suo figlio di sei come «la prova materiale che quello che ho fatto era giustissimo».

«Scioccata» da una menopausa precoce a 36 anni, nel 2007 si sposa «in fretta e furia» per poter intraprendere un percorso di adozione. «Ma durante il corso preparatorio abbiamo capito che non era adatta a noi: troppo lunga l’attesa, costi troppo onerosi ed enormi difficoltà». Così nel giro di poco tempo Adele e suo marito accettano «l’unica alternativa possibile: l’ovodonazione». Che in Italia è proibita. E allora cominciano a informarsi surfando on line tra forum, siti di mutuo aiuto femminile o portali di “informazione scientifica”. «Al tempo, le alternative più plausibili erano tre: la Spagna, la Grecia e i Paesi dell’Est dove i prezzi erano più bassi ma i tempi di attesa molto lunghi, anche fino a un anno, e le garanzie poche», racconta Adele. Un po’ spaesati e senza aiuto, hanno preso così la decisione da soli e sono partiti alla volta di Malaga, anche se la scelta era tra le più costose. «Perché a differenza di Barcellona o Madrid – continua Adele – non mi sembrava una catena di montaggio per coppie italiane, anche se ho conosciuto decine di donne che mi hanno parlato molto bene di quei centri di procreazione assistita». A Malaga però, a riprova della lunga esperienza sul campo e non solo come supplenza dello Stato italiano, «i medici non parlavano nemmeno la nostra lingua». Lì Adele prova per tre volte con la Fivet (fecondazione in vitro) ma senza alcun risultato. E dopo un anno arriva così al capolinea dell’eterologa: «Il primo tentativo fallito con l’ovodonazione ci è costato circa 6-7 mila euro, ma almeno siamo riusciti a congelare qualche embrione da utilizzare la volta successiva, a un prezzo inferiore di 800 euro circa. Anche la questione economica provoca molta ansia durante questi tentativi – spiega Adele –Conosco molti che hanno dovuto rinunciare. Per fortuna a noi è andata bene». Nel 2010 però la coppia avrebbe voluto dare un fratello o una sorella al loro unico figlio maschio. «E allora abbiamo fatto ricorso al Tribunale di Bologna seguiti dall’Associazione Luca Coscioni e dall’avvocata Filomena Gallo. Purtroppo i tempi italiani sono infiniti e malgrado la procedura d’urgenza stiamo ora aspettando il pronunciamento della Consulta, su casi analoghi al nostro, previsto per la prossima settimana. Oramai non penso più di riprovarci ancora, ma andremo avanti con il nostro ricorso solo per aiutare altre coppie. Perché quello che abbiamo dovuto passare noi non si ripeta mai più».