La scorsa notte il Kgb bielorusso, dopo un raid in un pensionato fuori Minsk, ha arrestato 33 cittadini russi. Nel comunicato diffuso dai servizi di sicurezza si afferma che il gruppo farebbe «parte di un contingente di oltre 200 contractors-wagneriani entrati nel paese al fine di destabilizzarlo» alla vigilia delle elezioni presidenziali del 9 agosto.

Una vera bomba investigativa ma soprattutto politica dopo che da tempo i rapporti tra i due Stati slavi – fino a non molto tempo fa idilliaci al punto di far presagire la loro unificazione – sono diventati assai difficili a seguito del tentativo del Cremlino di far ascendere alla presidenza della Bielorussia Victor Babariko, banchiere vicino a Gazprom, ora in prigione per presunti illeciti finanziari.

Dopo qualche ora veniva confermato anche da fonti russe che gli arrestati sarebbero dei cosiddetti «wagneriani», mercenari ingaggiati dal magnate della ristorazione Yevgeny Prigozhin ma sospettati da più parti di essere agli ordini diretti del Cremlino e operanti in Donbass, Siria, Libia e più recentemente in Sudan.

Zachar Plilepin, romanziere di successo e avventuriero, ha confermato che «due o tre persone arrestate a Minsk erano con me nel Donbass». I foreign fighers arrestati ieri sono maschi tra i 40 e i 50 anni con passati burrascosi alle spalle. Risulta difficile pensare però che, come sostiene il governo bielorusso, fossero lì per rovesciare Lukashenko.

Dai filmati dell’incursione del Kgb si evince che sono stati sequestrati materiali per l’addestramento militare, somme consistenti di valuta, volantini in arabo ma nessuna arma, segno che – come alcuni fonti segnalano – gli uomini di ventura fossero in Bielorussia per addestrarsi o in transizione verso le destinazioni finali di combattimento. Il 24 luglio lo stesso Lukashenko, parlando alle brigate dei servizi speciali, si era soffermato sull’argomento con una dichiarazione che ora appare come un messaggio obliquo a Mosca.

«Le guerre nel mondo iniziano con proteste di strada organizzate da gente reclutata. Si tratta di militari professionisti, banditi appositamente addestrati nell’ambito di agenzie mercenarie di tutto il mondo e che guadagnano grandi somme di denaro per organizzare provocazioni in alcuni Stati», aveva detto il presidente bielorusso.

L’azione di intelligence può essere il prologo per imporre lo stato di emergenza a ridosso del voto ma, a più ampio respiro, rappresenta sicuramente uno sgambetto al vecchio alleato Putin. Non sarà un caso che da qualche giorno gli Usa minacciano nuove sanzioni alla Russia denunciando la presenza dei wagneriani in Libia a fianco di Haftar, accusa rigettata da Putin che ha sempre affermato – convincendo quasi nessuno – di non saperne nulla.

Ora gli Usa, avendo la prova provata dell’intervento russo, potrebbero rilanciare la campagna mediatica e finanziaria anti-russa. Il 20 luglio, dopo 12 anni, gli americani hanno riaperto l’ambasciata a Minsk e a pensar male sono già in molti: con una mossa dettata dalla disperazione, Lukashenko potrebbe aver fatto il passo decisivo verso un clamoroso cambio di alleanze e un brusco avvicinamento all’Occidente.

Un’operazione spericolata anche per l’incombente presenza della Polonia, alleata questa sì strategica degli Usa e interessata all’emarginazione del vecchio dittatore. Intanto in attesa delle contromosse di Putin, a Minsk la candidata dell’opposizione Svetlana Zichanovskya chiama alla mobilitazione «contro ogni ipotesi dittatoriale» e afferma di «non credere all’idea di una così tanto sfacciata interferenza russa».