L’accelerazione che Nicola Zingaretti ha impresso alla sua corsa, con la riuscita kermesse romana di Piazza Grande, dove tanta parte della nomenklatura piddina è corsa a farsi vedere, ha smosso le acque dell’area renziana. Che alla spicciolata comincia a posizionarsi sul candidato Marco Minniti. Ieri hanno invocato la sua eventuale corsa i deputati Sandro Gozi, Alessia Morani, Ettore Rosato, l’ex ministro Calenda e il presidente-sceriffo della Campania Vincenzo De Luca. Ma fin qui siamo alle adesioni scontate. Dal Corriere della sera Renzi ha parlato di Minniti come un nome «autorevole», evitando eccessi di entusiasmo che non giovano a un candidato ex dalemiano che vuole mantenere margini di autonomia proprio per recuperare fra gli ex pci-pds-ds.

Minniti invece, dal canto suo, rallenta. Non che abbia dubbi sulla corsa, come ha assicurato a tutti quelli che in queste ore glielo hanno chiesto. Ma farà «a modo suo» e non secondo le liturgie tardo rottamatrici. Per esempio sarà presente questo week end alla Leopolda, per raccogliere un’investitura di fatto, ma non lancerà da lì la sua candidatura. Sceglierà un’occasione tutta sua, forse la presentazione del libro «Sicurezza è libertà», il 6 novembre, per la gioia dell’editore Rizzoli.

Renzi intanto affronta una Leopolda difficile dal punto di vista mediatico. La controprogrammazione stavolta è dura: nello stesso week end a Roma i grillini organizzano la loro convention al Circo Massimo, si annuncia un duetto Grillo-Bennato. L’ex segretario punta sull’apertura, venerdì 19. Quando, ha annunciato ieri nella enews, con l’ex ministro Padoan presenterà «una proposta di legge di bilancio che avrebbe come effetto di dimezzare lo spread e abbassare le tasse». Poi sarà la volta dei comitati civici, che hanno l’aria della prima infrastruttura di un partito renziano.

Al momento a passarla meglio è il candidato Zingaretti. La sua Piazza Grande ha segnato un punto. Ora però deve strutturare il suo movimento in due cerchi, quello degli esterni al Pd e quello degli interni, cercando un equilibrio fra i capicorrente che all’ex Dogana hanno accettato di fare un passo indietro ma che ambiscono a avere un ruolo.

Poi ci sono quelli che vogliono restare «super partes». Come Gentiloni, che si è schierato ma ricavandosi il ruolo di «garante dell’unità del partito». E il segretario Martina, che probabilmente farà una scelta simile. Venerdì anche Gianni Cuperlo riunirà i suoi a Bologna. Anche lui al momento chiede che il congresso non sia «una conta sanguinosa».
Con Zingaretti, ma non schiacciato sulle sue posizioni invece è Andrea Orlando. Renzi lo avrebbe anche invitato ricongiungersi con Minniti, vecchio cofirmatario di due decreti sicurezza che a sinistra non piacciono affatto. Ma il freddo fra i due risale ai tempi in cui il ministro dell’interno parlò di «rischio democratico»a proposito di alcune barche cariche di migranti che si avvicinavano in Italia dalla Libia. E ieri, a proposito dell’ex collega, era freddo: «Nell’appello di alcuni sindaci per Minniti non si capisce perché la candidatura di Marco dovrebbe essere più unitaria delle altre. E non si capisce perché non lo dicono proprio», ha scritto su twitter.