«Gli italiani potranno trascorrere un Natale ancora più felice». Il primo a felicitarsi con parole che non trattengono l’orgoglio è il neoministro dell’Interno Marco Minniti. Un curriculum politico, il suo, di un ex pci di marca dalemiana ma di scuola Pecchioli, poi per anni eminenza grigia del sottogoverno, fra ambienti militari, Difesa e Servizi segreti – nel 2008 è stato il Viminale del governo ombra di Veltroni – il suo battesimo professionale non poteva essere più smagliante, se così si può dire con rispetto per i morti di Charlottenbourg. In una conferenza stampa convocata in fretta, forse troppo, Minniti elogia «tutto il nostro sistema di sicurezza». Il ministro descrive nei dettagli la scena della sparatoria di Sesto, senza lesinare encomi per Cristian Movio e Luca Scatà, i poliziotti che hanno fermato e ucciso Anis Amri, la cui identità è stata accertata per il ministro «senza dubbio». «Noi guardiamo a questi due ragazzi all’equipaggio della volante, come persone straordinarie che facendo semplicemente il loro dovere hanno fatto un servizio straordinario alla comunità», è la conclusione.

Poco dopo fa altrettanto il premier Paolo Gentiloni, che nel frattempo ha informato la cancelliera tedesca Angela Merkel e raccolto l’elogio di Berlino all’Italia: «Quanto accaduto mette in evidenza l’importanza di un accresciuto controllo del territorio e la stretta necessità di una maggiore collaborazione tra le agenzie di intelligence nazionali», dice, ma anche «consente a tutti i nostri concittadini di sapere che lo Stato c’è». Seguono le congratulazioni del presidente Mattarella e dell’ex premier Renzi. Ma Minniti e Gentiloni, nella foga, dicono qualche parola di troppo. Quattro, per la precisione, e cioè i nomi degli agenti del presunto – almeno fin qui – killer di Berlino.

La polemica si accende qualche ora dopo, proprio mentre si riunisce il consiglio dei ministri. Dilaga prima sulla rete, poi fra i sindacati di polizia che accusano: «una follia» aver esposto i due poliziotti e le loro famiglie alle ritorsioni da parte dei terroristi. L’imperdonabile gaffe c’è, anche se dal governo non arriva nessuna replica. E a placare gli animi non può bastare la tempestiva circolare del capo della polizia, il prefetto Franco Gabrielli, che invita alla «massima attenzione» appunto per la possibilità di eventuali «azioni ritorsive» nei confronti dei poliziotti e delle altre forze dell’ordine.

Non è l’unica polemica di una giornata tutto sommato positiva per il paese. Matteo Salvini e Beppe Grillo alzano i toni: «In Italia non deve entrare più neanche uno spillo. Bisogna ripristinare i controlli alle frontiere interne, siamo in guerra. Bisogna votare nel 2017, con primo punto lo stop all’ingresso di qualsiasi tipo di immigrazione, fatti salvi donne e bambini in fuga dalle guerre», dice il leghista. E il leader di M5S rincara la dose, in una competizione xenofoba forse senza precedenti in Italia: «Dobbiamo proteggerci: gli irregolari devono essere rimpatriati subito», dice. Il trattato di Schengen dunque «va rivisto e sospeso in caso di attentato». Dal resto d’Europa avanzano la stessa richiesta in coro la francese Marine Le Pen, l’olandese Geert Wilders e il britannico Nigel Farage.