Fa tappa a Montecitorio il confronto-scontro tra governo e sindacati sul contratto del pubblico impiego. Una vertenza già calda di suo, visti i quattro anni di blocco della contrattazione già in archivio, e che viene ulteriormente arroventata da un dpr governativo che intende prorogare a tutto il 2014 lo stop alle trattative fra le parti. Oggi la commissione lavoro della Camera ha in programma l’esame dello schema di decreto presidenziale. Alla vigilia della seduta, e a pochi giorni dalla manifestazione confederale di sabato in piazza San Giovanni a Roma, dai segretari generali del pubblico impiego arriva un messaggio forte e chiaro: «Auspichiamo che la commissione dia parere negativo sul prolungamento del blocco dei contratti e delle retribuzioni – avvertono con una nota congiunta Rossana Dettori (Fp Cgil), Giovanni Faverin (Cisl Fp), Giovanni Torluccio (Uil Fp) e Benedetto Attili (Uil Pa) – perché il contratto è un diritto, e speriamo che almeno la commissione riesca a farsi carico di ricordarlo al Parlamento e al governo». Sottoscrivono i sindacati della scuola, visto che il blocco riguarda anche gli enti di ricerca.

Sulla stessa linea il segretario nazionale della Cgil, Nicola Nicolosi: «Un ulteriore anno di proroga è inaccettabile – osserva – visto che già l’attuale blocco sta determinando una pesante perdita del potere di acquisto delle retribuzioni di 3,3 milioni di dipendenti pubblici, oltre all’impossibilità di gestire i processi di riforma della pubblica amministrazione». Il problema è che l’esecutivo di larghe intese guidato da Enrico Letta non intende abbandonare il sentiero tracciato dall’ultimo governo Berlusconi, artefice di quella legge Brunetta tuttora indigeribile per gran parte del pubblico impiego, e percorso anche da Mario Monti e dai suoi «tecnici», cui si deve il blocco dei contratti: «Ora il nuovo governo peggiora ulteriormente la situazione – puntualizzano Dettori, Nicolosi e anche Mimmo Pantaleo che guida la Flc Cgil di scuola e università – perché non c’è soltanto la proroga della legge precedente, ma anche l’estensione del blocco ad altri settori della pubblica amministrazione».

Nei giorni scorsi le segreterie di Cgil, Cisl e Uil avevano avuto una prima presa di contatto con il ministro Gianpiero D’Alia. Ne era uscita una fumata nera: «C’è stata la disponibilità del ministro sui precari e sui vincitori di concorso che non sono mai entrati nella pubblica amministrazione – aveva tirato le somme il segretario confederale della Uil, Antonio Foccillo – ma per le parti più significative che abbiamo posto al centro delle nostre rivendicazioni, come i rinnovi contrattuali e per la parte che modifica la vecchia riforma Brunetta, il ministro ha detto che le risorse non ci sono e che bisogna andare a palazzo Chigi a chiederle. Allora vuol dire che noi ci andremo». Mentre Nicolosi aveva osservato: «Il blocco della contrattazione è tanto più inaccettabile, mentre continuano a essere in vigore norme introdotte per legge che intervengono pesantemente sulla contrattazione, mutilandola. Si tratta di misure legislative che vanno rapidamente cassate prima dell’avvio della stagione contrattuale».

Anche il sindacato di base Usb era uscito molto deluso dall’incontro con il ministro della Pubblica amministrazione: «Non siamo disponibili a ragionare su ipotesi di ripiego – aveva spiegato Cristiano Fiorentini dell’esecutivo nazionale pubblico impiego – a partire dalla ventilata apertura contrattuale esclusivamente sulla parte normativa e senza risorse economiche. Senza risposte concrete si aprirà una inevitabile stagione di lotte. Nei prossimi giorni l’Usb consegnerà ufficialmente la piattaforma contrattuale: per noi si apre la stagione dei rinnovi».

Bontà sua, Gianpiero D’Alia ha comunque spezzato una lancia in favore della pubblica amministrazione. In una audizione alla Camera davanti alle commissioni riunite Affari costituzionali il ministro ha ricordato: «In questi anni il numero dei dipendenti pubblici è calato di circa 300 mila unità. Il settore pubblico ha contribuito e sta contribuendo in maniera sensibile alle politiche di razionalizzazione della spesa necessarie per uscire dalla crisi». Con un prezzo salato per i lavoratori, visti gli oltre 7 mila dipendenti in esubero a causa della spending review, e soprattutto i 250 mila con contratti a termine, di cui circa 133 mila nella scuola, 30 mila nella sanità, e 80 mila tra regioni ed enti locali.