«Confido che il governo israeliano farà piena luce sulla vicenda». Sono le parole pronunciate dal ministro degli esteri italiano Paolo Gentiloni a commento della notizia della morte ieri del ministro palestinese Ziad Abu Ein, poco dopo essere stato aggredito da soldati israeliani. Gentiloni si affida alle indagini delle forze armate dell’occupante e appare più indietro rispetto al resto dell’Europa. «Le notizie sull’uso eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza israeliane sono estremamente preoccupanti: chiedo un’immediata inchiesta indipendente sulla morte del ministro Abu Ein», ha infatti dichiarato l’alto rappresentante per la politica estera europea, Federica Mogherini. L’Ue vuole una indagine indipendente, l’Italia non pare. La domanda viene legittima: il ministro Gentiloni avrebbe espresso fiducia in un’inchiesta palestinese se un poliziotto dell’Anp avesse messo le mani al collo di un ministro israeliano? Perchè ieri le immagini diffuse dai social network e dalle agenzie di stampa mostrano in modo molto chiaro un agente della guardia di frontiera israeliana che con una mano stringe la gola del ministro poi deceduto. La vicenda di Ziad Abu Ein conferma ancora una volta il modo con cui tanti dirigenti dei governi occidentali guardano ai diritti e alla dignità dei palestinesi. Questo atteggiamento da decenni blocca la soluzione del conflitto in Medio Oriente sulla base del diritto internazionale.

 

Ziad Abu Ein, 55 anni, era responsabile del dossier sul Muro e le colonie israeliane. Membro del comitato rivoluzionario di Fatah nel 1981 era stato il primo palestinese estradato dagli Stati Uniti in Israele dove dove era stato condannato per il suo presunto ruolo in un attentato (in cui morirono due giovani israeliani). Venne liberato in uno scambio di prigionieri e nel ’94 fu nominato capo del direttivo di Fatah. Ieri Abu Ein, assieme a circa 300 palestinesi, attivisti stranieri e israeliani aveva raggiunto terreni del villaggio di Turmus Aya minacciati di confisca da parte delle autorità militari e che potrebbero essere assegnati all’espansione della colonia israeliana di Adei Ad. L’intenzione dichiarata era quella di piantare alberi d’olivo. Al loro arrivo Abu Eid e gli altri manifestanti sono stati accolti da una pioggia di lacrimogeni. Nonostante ciò il corteo è riuscito ad arrivare davanti ai militari che hanno reagito, secondo il racconto di testimoni palestinesi, con spintoni violenti. Qualcuno riferisce che Abu Ein è stato colpito al petto con un elmetto e il calcio di un mitra. Altri da un lacrimogeno. E’ comunque sicuro che una guardia di frontiera con una mano ha stretto la gola del ministro palestinese: ciò mostrano le foto e i video diffusi dalla rete e dalle agenzie. «Questo è un esercito di occupazione che pratica il terrore e l’oppressione. Volevamo solo piantare alberi sulla nostra terra, non abbiamo lanciato pietre o aggredito nessuno, eppure siamo stati attaccati dai soldati». Queste sono state le ultime parole del ministro che pochi attimi dopo si è accasciato tenendosi il petto. Inutile il trasporto all’ospedale di Ramallah dove Abu Ein è giunto cadavere.

 

Per i palestinesi non ci sono dubbi, Abu Ein è morto in conseguenza dell’aggressione subita. Per gli israeliani invece si sarebbe trattato di un “infarto” giunto per cause naturali. Le autorità militari hanno annunciato l’apertura di un’inchiesta e hanno offerto una sorta di commissione congiunta israelo-palestinese per fare luce sulla morte del ministro. Non è passato inosservato un dato. Il lungo silenzio, durato molte ore, del governo israeliano davanti alla morte di un membro dell’esecutivo palestinese colpito da soldati e agenti della guardia di frontiera. Solo in serata le prime dichiarazioni. Il ministro della difesa Moshe Yaalon ha detto «Ci dispiace la sua morte». Il premier Netanyahu ha inviato una lettera all’Anp in cui afferma che Israele indagherà sull’accaduto. Tutto qui.

 

Lo sdegno è stato enorme in Cisgiordania e Gaza, dove sono stati proclamati tre giorni di lutto nazionale. Una folla ha atteso a Ramallah le spoglie del ministro. La governatrice della città, Laila Ghannam, ha definito l’uccisione di Abu Ein «una dichiarazione di guerra da parte di Israele». La tensione è salita subito, ovunque. Un ragazzo palestinese di 14 anni è stato ferito alla testa da colpi sparati da soldati israeliani durante scontri avvenuti davanti al campo profughi di Jalazon (Ramallah). Altri incidenti si sono registrati in vari punti della Cisgiordania. Domani, in occasione del venerdì delle preghiere, si prevedono scontri anche a Gerusalemme Est. «Tutte le opzioni sono aperte», ha annunciato il presidente dell’Anp Abu Mazen intervenendo ieri sera a una riunione straordinaria dei vertici politici palestinesi a Ramallah. Qualche ora prima Abu Mazen aveva parlato di un atto «barbarico» che non sarà tollerato e promesso di «prendere le misure necessarie dopo i risultati dell’inchiesta sulla morte di Abu Ein». Sul tavolo c’è ancora una volta la sospensione della cooperazione sulla sicurezza con Israele. Ma in casa palestinese è emerso anche in questa occasione così grave il solito caos decisionale. E se uno dei leader di Fatah, Jibril Rajoub, ha annunciato l’interruzione di ogni collaborazione con i servizi segreti israeliani, da parte di Abu Mazen non è poi giunta una conferma ufficiale.