Un paio di giorni fa, Annamaria Cancellieri ha esordito davanti al senato nella sua nuova veste di ministra della giustizia. Chi volesse, trova il suo intervento su internet, nei resoconti di Palazzo Madama. Come se l’è cavata? Senza infamia e senza lode? La signora è brava ma avrebbe dovuto studiare di più o la signora è  un’abile maneggiatrice di dati a proprio uso e consumo? Lasciamo giudicare a voi, fornendovi alcune chiavi di lettura.

Cominciamo dalla lode: “Credo nella utilità della creazione di un ufficio di staff del giudice che ne supporti efficienza e qualità. Quest’ultima misura, sulla falsariga di pregresse positive esperienze pilota, ritengo potrà essere in grado di generare un incremento della produttività, della qualità e, conseguentemente, dell’efficienza del sistema giudiziario”. Evviva,  dieci anni dopo le prime timide richieste di creare un ufficio a supporto di ogni singolo magistrato, sulla falsariga di esperienze straniere (Usa, ad esempio) la nuova ministra ripesca il coniglio dal cappello. Che ne pensano i diretti interessati? “E’ un’iniziativa auspicabile, che elimina il peso delle attività non interpretative da parte del giudice, attività quali le ricerche giurisprudenziali, la raccolta dei materiali, il riordino del fascicolo, le verifiche di cancelleria, persino la liquidazione dei consulenti e dei periti”, dice Paola De Nicola, in servizio al tribunale penale di Roma e autrice del libro “La giudice”. Per intenderci, non si tratta di un ufficio pieno di dattilografe, ma di personale qualificato: a suo tempo, ci fu chi ipotizzò di poter occupare così un certo numero di laureati in giurisprudenza.

Viceversa, Cancellieri si è sentita in dovere di  appoggiare le riforme della sua predecessora, Severino. E ha inneggiato alla revisione della geografia giudiziaria suggerendone l’immediata applicazione (subito bacchettata da tutti, dai 5 stelle al pdl) e alla mediazione obbligatoria, ovviamente tenendo conto dei rilievi dell’alta corte che l’ha bocciata. La mediazione obbligatoria, ha detto la ministra, ha mostrato “un positivo effetto anche sul piano della composizione dei conflitti tra le parti, per circa la metà dei quali è stato raggiunto l’ accordo”. Non ha detto però quanti sono stati, in cifra assoluta, i conflitti portati in mediazione: ebbene, secondo le statistiche dello stesso suo ministero, nel periodo in cui è stata d’obbligo, la conciliazione come l’aveva modellata l’allora ministro Alfano ha consentito di chiudere la metà di 100 mila contenziosi. Un nonnulla, rispetto ai 4 milioni di fascicoli pendenti nel civile. Ecco, un modo di governare più vicino agli interessi dei cittadini è anche quello di partire dai dati reali e, onestamente, ammettere i fallimenti anche volendo insistere nella bontà dello strumento. Se la mediazione non ha deflazionato un bel niente, non per questo va buttata a mare, però sarebbe importante ricominciare la riflessione dalla verità.

Cancellieri ha accennato all’ipotesi di “depenalizzazione in concreto, attraverso l’introduzione dell’istituto dell’irrilevanza del fatto e di meccanismi di giustizia riparativa”. Sembrerebbe la risposta perfetta al caso della pensionata di Trieste denunciata dal responsabile del supermercato perché aveva rubato cibo per un valore di 7 euro.

Il peggio, in fondo. La ministra non ha dedicato neanche una parola alla questione della violenza contro le donne. C’è un dibattito aperto sull’eventuale inasprimento delle pene per i femminicidi. E ci possono essere soluzioni anche in campo civile (risarcimento danno endofamiliare, etc). Peccato che la nuova guardasigilli non ne abbia tenuto conto.