Restano in carcere i quattro attivisti No Tav arrestati un mese fa, il 9 dicembre. L’accusa nei loro confronti è quella di attentato con finalità terroristiche e riguarda gli episodi accaduti nella notte tra il 13 e il 14 maggio, a Chiomonte. Avrebbero preso parte a un assalto al cantiere dell’alta velocità – sorvegliato dalle forze dell’ordine – durante il quale furono lanciati pietre, petardi e molotov, che, tra l’altro, incendiarono un generatore elettrico.

Il Tribunale del riesame di Torino ha confermato le misure cautelari e l’ipotesi di reato formulata dai pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino. I quattro No Tav sono Claudio Alberto, 23 anni, di Ivrea, Mattia Zanotti, 29 anni, di Milano, Chiara Zenobi, 41 anni, di Torino, e Niccolò Blasi, 24 anni, di Torino. Ieri mattina, probabilmente in loro solidarietà, sono stati tappezzati i bagni della Procura di Torino con adesivi e volantini «terrorista è chi militarizza e devasta i territori» e intasati dodici scarichi. Uno dei bagni si trova vicino agli uffici dei pm che si occupano dell’indagine.

L’accusa di terrorismo era spuntata per la prima volta il 29 luglio, rispetto a un’altra inchiesta, relativa «agli episodi violenti del 10 luglio al cantiere». Un’accusa che nel convegno dei giuristi democratici di inizio dicembre è stata considerata «un azzardo interpretativo».

Che la situazione rimanga tesa, lo attesta il rinvenimento di tre molotov davanti al pianerottolo di casa del senatore del Pd Stefano Esposito, noto per le sue posizioni pro Tav. È stato un vicino ad avvisarlo, intorno alle 7.15 di ieri, della presenza delle bottiglie incendiarie. La scorta del parlamentare ha trovato nella buca delle lettere un documento anonimo: «Caselli è andato in pensione, Bersani è in rianimazione, i tuoi amichetti sono, quindi, fuori gioco. Chiamparino non tornerà. Ora tocca a te ritirarti o fare bum bum, la scelta è solo tua. Torna in prefettura, la scorta non ti può proteggere più». Nel testo viene chiamato in causa anche il giornalista della Stampa, Massimo Numa (che, a ottobre, ricevette un pacco bomba, intercettato prima che potesse esplodere), filmato nei giorni scorsi da ignoti durante un incontro con il senatore.

Intervistato da Radio 24, Esposito è parso scosso: «Non vivo solo, ho tre figli piccoli, una bimba di tre mesi, una moglie. Non so se ho più voglia di far vivere loro questo stillicidio. Sto seriamente pensando che forse dovrò accettare l’invito e tornarmene a lavorare in prefettura, basta che possa far stare tranquilla la mia famiglia. Non è nemmeno giusto, che per la mia passione politica loro debbano pagare un prezzo così alto. Tre mesi fa mi è nata l’ultima figlia, all’ospedale ci sono dovuto andare con la macchina blindata. Questa è la terza intimidazione direttamente a casa. Forse non ne vale la pena. Nei prossimi giorni ne parlerò con la mia compagna e valuteremo».

Il Pd si è stretto al suo parlamentare. A partire dal sindaco Piero Fassino: «La pericolosa insistenza con cui Esposito viene preso di mira da atti di minaccia non è tollerabile. Mi auguro che le indagini portino a scoprire i responsabili». Sull’autenticità delle minacce nutre, invece, dubbi il movimento contro la Torino-Lione, che rigetta qualsiasi accostamento alle tre molotov e che su notav.info scrive: «Siccome velatamente le accuse della stampa sono giù puntate sui i No Tav, permetteteci di pensare male perché dopo stelle a cinque (o sei) punte sul cofano della macchina, bigliettini di minaccia anonimi, polli sullo zerbino di casa e altro che non ricordiamo, il gioco per diventare famosi inizia a stancare. Abbiamo sempre alla mente la scuola Diaz di Genova…».

Quarantaquattro anni, già capogruppo dei Ds in provincia di Torino, Esposito è stato eletto per la prima volta in Parlamento, alla Camera, nel 2008, un anno fa è passato ai banchi del Senato, dov’è vicepresidente della Commissione Trasporti. Strenuo difensore del contestato progetto della Torino-Lione (è autore con Paolo Foietta del libro Tav Sì), non si è tirato indietro dalle polemiche. Dalle accuse alla No Tav Marta Camposano di essersi inventata le molestie sessuali della polizia, ai mega manifesti «C’è chi tira pietre e sfascia il Paese. Noi stiamo con chi lavora» con il ritratto di una folla di attivisti che tira petardi a un operaio del cantiere.