Il colpo in commissione alla camera fa male, ma è più un avvertimento che un danno immediato. Il governo va sotto su un emendamento all’articolo 2 della riforma costituzionale, quello che cancella i senatori di nomina presidenziale, perché per una volta i deputati votano secondo le loro pubbliche convinzioni e non seguendo l’ordine di scuderia. Ma non si tratta di un elemento centrale della riforma, anzi viene corretta un’evidente incongruenza del testo approvato al senato, dove per conservare l’istituto si erano imbucate le cinque figure di prestigio scelte dal capo dello stato tra i senatori rappresentativi delle «istituzioni territoriali». Niente però impedirà al governo di tornare alla versione originaria quando la legge sarà discussa in aula, lì i numeri sono tutti a favore di Renzi che più di tutto ha interesse a non far riaprire l’articolo 2 nel prossimo passaggio al senato.

La riforma costituzionale allegata al patto del Nazareno è a tal punto un testo del governo che la regia sugli emendamenti e sui tempi di discussione è accentrata a palazzo Chigi. E dunque quando in parlamento si forma una volontà difforme, è il governo ad essere smentito e la ministra Boschi a finire in questione. Uscita dalla commissione, subito dichiara: «Vedremo se l’aula confermerà, è lì che sono rappresentati davvero il Pd e la maggioranza». In commissione in effetti sono ultra rappresentati gli esponenti della minoranza bersaniana, c’è anche lo stesso Bersani – ieri assente perché a Napoli a parlare (male) delle riforme. Dieci del Pd hanno votato per l’emendamento che riporta a 100 i senatori eletti dai consigli regionali e fa sparire il laticlavio onorifico, con loro le opposizioni di Sel, M5S e Lega e un senatore di Forza Italia da sempre critico con il patto del Nazareno. Qualche assente e astenuto ha completato l’opera; le reazioni immediate del circolo renziano hanno un po’ spaventato i bersaniani che hanno derubricato a «tecnico» il passaggio di ieri e assicurato che tutto si ridiscuterà in aula.

Travolto ormai il confine tra quello che compete all’esecutivo e quello che riguarda la riscrittura della carta costituzionale, nulla impedisce al relatore della riforma Fiano e ai supporter più estremi del premier di crocifiggere i bersaniani: pacchi di dichiarazioni in fotocopia del genere «basta», «rotto il patto», «andiamo a votare». Lo spiffero serotino di palazzo Chigi è più acido che mai: «Credono di mandarci sotto per far vedere che esistono, anche a costo di votare con Grillo e Salvini». Lo precedono un paio di mosse altrettanto ad effetto, che però hanno l’obiettivo di richiamare all’ordine l’altra parte politica, il Berlusconi che tentenna sulla legge elettorale. O che non tentenna, ma che non riesce più a controllare i suoi, come dimostra il caso del deputato dissidente. Anche qui c’è un gesto: un tris di senatori di provato legame con il premier presenta un emendamento alla legge elettorale per riportare in vita il Mattarellum in caso di scioglimento anticipato delle camere. Anche qui, però, il senso è quello della pura minaccia: Berlusconi teme l’uninominale come il demonio, ma Renzi stesso non ha nessuna voglia di abbandonare l’Italicum.

Per rendere più credibile l’avvertimento, il circolo renziano si diffonde in nervosismi pre voto, ragiona a voce alta di elezioni in primavera e contemporaneamente di ritorno, appunto, al Mattarellum. Che è sì il sistema di voto preferito dalle minoranze Pd (e infatti sia Bersani che Civati commentano «fosse vero»), ma è anche quello che consentirebbe alla segreteria di scegliere tutti i candidati nelle sfide uninominali. Con il solo vincolo di doverle vincere. Ma a quel punto, per tornare alla legge elettorale di venti anni fa, sarebbe Renzi a dover votare adesso con Grillo e Salvini.

Si può credere alla minaccia del voto in primavera solo andando un po’ leggeri sul calcolo dei tempi necessari per cambiare la legge elettorale o per rendere applicabile il Consultellum, sulla valutazione degli incroci con il cambio della guardia al Quirinale, e soprattutto sulla reale convenienza di un premier che può adesso contare su eccezionali rapporti di forza. Nel frattempo meglio guardare ancora ai lavori delle due commissioni di senato e camera che si stringono attorno al patto del Nazareno per non rinunciare a chiudere su Italicum e riforma costituzionale entro natale. Prossimo ostacolo la modifica del quorum per l’elezione del presidente della Repubblica. Per alzarlo c’era un accordo tra governo e minoranza Pd, ma prima dell’incidente di ieri.