Le autorità egiziane non usano il guanto di velluto ma non hanno nemmeno un minimo di decenza nella «gestione» dell’omicidio di Giulio Regeni.

A pochi giorni dal rilascio di Amal Fathy, attivista egiziana arrestata lo scorso maggio maggio e ora ai domiciliari con l’accusa di diffusione di notizie false e appartenenza a gruppo terroristico (il Movimento 6 Aprile, attivo contro il governo Mubarak e poi in piazza Tahrir), il marito Mohammed Lofty – fondatore dell’ong Ecrf e consulente della famiglia Regeni – ha ricevuto palesi pressioni dai servizi egiziani perché passasse loro informazioni sulle indagini italiane.

A telefonargli è stato l’ufficio della Nsa di Nasr City, implicato nell’inchiesta della Procura di Roma: è qui che è tuttora operativo il maggiore Magdi Abdaal Sharif, inserito nel registro degli indagati da Piazzale Clodio a dicembre.

Secondo gli inquirenti, è lui che ha «gestito» l’informatore Mohammed Abdallah, coordinato lo spionaggio del giovane ricercatore e fatto arrestare nell’aprile 2016 l’altro legale dei Regeni, Ahmed Abdallah.

A presentare un esposto alla Digos di Genova è stata la legale di Paola e Claudio Regeni, Alessandra Ballerini, per lesione del diritto di difesa dei suoi assistiti. La Procura di Roma aprirà un fascicolo di indagine, in un primo momento senza indagati o ipotesi di reato in attesa di valutare la giurisdizione: le minacce si sono verificate all’estero e la vittima non è un cittadino italiano.

Ad emergere è una vera e propria minaccia contro Lofty: il 10 gennaio è stato raggiunto da una telefonata nel quale gli è stato chiesto di «recarsi negli uffici della National Security di Nasr City – si legge nell’esposto – per riferire sulle indagini che lo stesso Lotfy sta seguendo e che risultano di competenza di tale ufficio». Il consulente ha rifiutato e il funzionario è stato esplicito: ci saranno «conseguenze contrarie agli interessi suoi e della sua famiglia».

Sulla questione è intervenuto ieri il presidente della Camera Fico che ha parlato di «segnale davvero inquietante».