Addio agli show tv, ai tour, ai musicarelli (tredici, «tutti assolutamente dimenticabili», come aggiungeva lei ironica) agli incontri con i giornalisti, ai cambi di look sempre nuovi, diversi e sorprendenti e alle terribili diete che la trasformavano da giunonica diva a mannequin. Mina un giorno ha detto basta, tredici concerti nell’estate 1978 e poi via dalla pazza folla. Anche se prove di ritiro c’erano già state: era dal 1972 che non teneva show dal vivo. Vero che nel frattempo c’erano stati i caroselli per Barilla e soprattutto le otto puntate di Milleluci con Raffaella Carrà nel 1974, ma l’idea del buen ritiro le stava balenando nella mente da tempo.
Ha mantenuto fede all’impegno, palesandosi solo per un’unica volta, giusto per ribadire il concetto, nel 2001 per il live in studio da Lugano dove appariva felice in mezzo ai suoi musicisti ma senza sentirsi addosso l’ossessiva presenza dei media. Eppure il paradosso è che Mina non è mai stata tanto presente nella vita quotidiana come ora che si appresta a festeggiare 80 anni. Ma potrebbe averne 20, 30, 40, una diva senza età: ha decostruito la sua immagine televisiva, fisica, pubblica e si è reinventata attraverso i geniali fotomontaggi e ai lavori di grafica a cui la sua figura è stata sottoposta da Mauro Balletti e da Gianni Ronco sulle copertine dei suoi dischi: Mina calva di Attila (1979), cover finita in esposizione al Moma di New York, donna barbuta in Salomè (1981) e cinematografica presenza in Sorelle Lumierè (1992).

DAL 1978 a oggi Mina si è costruita un’altra vita professionale, anche scrivendo come ha fatto con continuità per diversi anni su diversi settimanali e quotidiani, rispondendo ai tormenti del cuore dei lettori – aprendosi a volte come non aveva mai fatto prima. Ma soprattutto ha vinto la sua sfida incidendo, album, doppi, singoli, spaziando su territori diversi. Una bulimia discografica che si estende dal 1958 a oggi attraverso centinaia di titoli pubblicati. Dai singhiozzi sbarazzini nelle cover di When e Passion Flower, con lo pseudonimo di Baby Gate, ai toni gravi e solenni che accompagnano le note dei canti sacri e delle romanze d’opera arrangiati da Gianni Ferrio fino al recente progetto in coppia con Ivano Fossati.
Ma se è inevitabile citare le hit a ripetizione dei 60 e dei primi 70, è certo che nel formato ad album prima e in cd dopo va ricercata l’essenza musicale più compiuta di Mina. Lavori dove ingloba standard americani e si fa pioniera (insieme alla Vanoni) della scena brasiliana, portandola nelle case degli italiani. Mina – progetto ambizioso arrangiato da Augusto Martelli nel 1964 – è un po’ la summa della sua crescita artistica del periodo giovanile che attinge agli standard sinatriani e poi sterza verso Jobim.
Lo stato di grazia è nei settanta: partendo da Bugiardo più che mai, più incosciente che mai, che non contiene solo la versione italiana (adattata da Paolo Limiti) del brano di Juan Manuel Serrat, ma la vede matura interprete di Chico Buarque, Com acucar com afeto.

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FONDAMENTALE sempre nei settanta è l’incontro con Battisti autore che per lei scrive Insieme, Amor mio, La mente torna, Io e te da soli, perfette per mettere in risalto le note più gravi e bluesy del suo stile. Al cantautore di Poggio Bustone dedicherà nel 1975 un intero album Mina canta Lucio, arrangiato da un giovanissimo Gabriel Yared (tutto il catalogo battistiano da lei riletto è stato raccolto nel 2018 in un doppio Paradiso, magistralmente rimasterizzato). Un anno dopo incide Plurale in cui insieme all’orchestra di Ferrio gioca con le note, in un trionfo della polifonia vocale, giù giù fino ad arrivare al canto degli alpini per eccellenza, Il testamento del capitano.
Complice l’affermarsi del cantautorato e meno scelte tra le firme d’autori – che spesso le proprie creazioni se le cantano loro stessi – la produzione post ritiro si fa più altalenante. Così Mina va a scovare perle nascoste fra le migliaia di provini che le giungono in Svizzera, ma non sempre il gioco le riesce bene tanto che dal 1983 al 1995 (Pappa di latte, ultimo doppio ad interrompere una serie che durava dal 1972), alternerà cover a brani inediti.

Dal 1996 si cambia: stop ai doppi e via a progetti singoli. Dall’enorme impatto popolare del disco dei duetti con Celentano (1998, un milione e seicentomila pezzi venduti, con tanto di bis nel 2016 baciato da sette dischi di platino…), alle collaborazioni extra pop con Afterhours (in Facile, 2009) e Boosta dei Subsonica. Ma sono i due tributi alla musica napoletana (nel 1996 un live in studio dalle atmosfere jazzy e un più orchestrale e serioso per orchestra nel 2003) a svettare fra le punte più alte della sua discografia. Così come vincente si dimostra l’idea di affrontare i canti sacri (Dalla terra, 2000) o le romanze classiche (Sulla tua bocca lo dirò, 2009) insieme al vecchio amico Gianni Ferrio, che suscitano scandalo fra i puristi ma sono il segno di un’intelligenza artistica fuori dal comune.