La notizia non è che ci siano dissidenti pentastellati a cui l’ok di Vito Crimi alla riforma del Mes è andato di traverso. La notizia è che sono tanti, una cinquantina di deputati e 16 senatori. Determinati a bocciare la riforma, almeno sulla carta della lettera che inviano a Crimi, al capodelegazione Bonafede, ai capigruppo e, per conoscenza, a Di Maio e ai sottosegretari Fraccaro e Agea.

Toni cerimoniosi, in apparenza concilianti: «Non vogliamo in nessun modo mettere a rischio la maggioranza». Sostanza ferrigna. I dissidenti chiedono che la riforma sia subordinata, come aveva indicato il parlamento, alla «logica di pacchetto», contestuale cioè all’avanzamento dell’unione bancaria e alle garanzie sui depositi. In caso contrario, «l’unico ulteriore passaggio che i parlamentari del M5S avrebbero per bloccare la riforma del Mes sarebbe durante il voto di ratifica nelle due camere». Un macigno. Anzi una condanna.

IL PD NON DISPERA in una provvidenziale astensione di Fi al posto del pollice verso. Non arriverà. «Forza Italia ha sempre mantenuto una posizione chiara e univoca. Con la riforma l’Italia rischia di essere l’ultima della classe», chiude i giochi la capogruppo Bernini. Qualcuno tentato dall’astensione nel gruppo c’è, ma solo se l’intero centrodestra scegliesse questa posizione. Fantascienza. Restano i voti azzurri in dissenso. Ci saranno ma non tanti da compensare la dissidenza dei 5S. Certo il governo potrà contare sui forzisti passati al Misto, Romani e Quagliariello, ma sempre dal Misto potrebbero partire anche altri voti contrari, come quello di Tommaso Cerno. In sintesi: senza la resa dei ribelli 5S il governo rischierà sul serio il 9 dicembre al Senato.

LA SOLA LEVA per far rientrare i dissidenti del Movimento è la risoluzione di maggioranza. In mattinata il ministro Enzo Amendola e i capigruppo si erano visti per iniziare a buttarla giù, per la verità senza concludere per il momento molto. Ma dopo la missiva incendiaria dei parlamentari 5S la già notevole importanza di quella risoluzione è lievitata.

Di Maio parte per il giro telefonico delle sette chiese. A Gualtieri chiede di inserire un passaggio preciso che impegni formalmente a non chiedere il prestito sanitario. Si sente rispondere che non se ne parla. Chiedere al Pd e Iv di votare contro il prestito Mes è volere l’impossibile. Con il Pd la richiesta del leader 5S è meno surreale ma non troppo. Un passaggio della risoluzione nel quale si dicesse che almeno una parte della riforma deve essere ridiscussa dal parlamento darebbe ai ribelli il contentino necessario per giustificare la retromarcia. Si tratterebbe però di un ennesimo rinvio. Il tempo formalmente ci sarebbe.

LA RIFORMA SARÀ FIRMATA il 27 gennaio e se a dicembre il calendario è fitto e frenetico in gennaio sarebbe possibile ridiscutere la riforma. Ma la figura dell’Italia a Bruxelles sarebbe devastante, probabilmente inaccettabile per lo stesso Pd. Senza contare l’arma che verrebbe offerta a un Renzi sempre più scalpitante. Il leader di Iv non nasconde l’intenzione di arrivare subito dopo l’approvazione della legge di bilancio o a un riequilibrio degli assetti di governo, il Conte 3, oppure, meglio ancora, a un nuovo governo sostenuto da una nuova maggioranza. L’incidente sul Mes gli permetterebbe di picconare il governo sino a gennaio, rendendo ancora più fragile un edificio già a rischio di crollo. Anche la strada di un nuovo rinvio è preclusa.

La sola ipotesi di mediazione è scrivere nella risoluzione che l’eventuale richiesta di prestito Mes sarà subordinata all’indicazione del parlamento, dove verrebbe di certo battuta dal voto congiunto dei 5S, di LeU e, a destra, della Lega e di FdI. I dissidenti si accontenteranno? Dipenderà dall’assemblea dei gruppi convocata per domani e dall’esito del martellante lavoro di recupero nel quale si eserciteranno Di Maio e Crimi.

ALLA FINE, CON QUALCHE acrobazia, è probabile che mercoledì prossimo il governo riesca a salvarsi. Ma ormai non sfugge a nessuno il clima di sfaldamento complessivo della maggioranza. Senza un colpo d’ala di Conte affrontare così le sfide della vaccinazione di massa e del Recovery Plan italiano sarà un miraggio.