Mille giorni per cambiare il Paese. Ma c’è chi 1000 giorni non può davvero aspettarli. A rigore, neanche qualche settimana: mentre dentro i palazzi della politica si attorcigliano le scelte sulle riforme, per precipitare in una “tagliola”, fuori manifestano i lavoratori che vedono assottigliarsi le proprie tutele. E intanto il premier Matteo Renzi ammette: «Molto difficile confermare la stima» di una crescita del +0,8% contenuta nel Def. «Che la crescita sia 0,4 o 0,8 o 1,5% non cambia niente dal punto di vista della vita quotidiana delle persone».

E meno male che Renzi se ne rende conto. D’altronde, qualche giorno fa è stata la Banca d’Italia a tagliare le stime sul Pil, concedendo uno striminzito +0,2%. E ieri (numeri arrivati dopo la dichiarazione del premier), si è aggiunto anche l’Fmi: dimezzando le proprie previsioni da +0,6% a +0,3%.

Il problema sociale più evidente resta quello della cassa in deroga, per cui i sindacati dicono mancare 1,2 miliardi di euro: se non risolto, può gettare, entro fine estate, oltre 60 mila persone in mezzo a una strada. Ma in realtà, il nodo di fondo è un’Italia che non riparte. Che resta frenata, a dispetto della “velocità” del suo premier.

Altri dati arrivati ieri, quelli dell’Istat, continuano impietosamente a certificare che per ora non ci siamo. In maggio le vendite al dettaglio hanno subito una brusca battuta d’arresto, con un -0,7% sul mese precedente, e un -0,5% sull’anno. Giù – ma in questo caso la cifra è riferita a luglio – anche la fiducia dei consumatori: dai 105,6 punti di giugno è scesa a 104,6.

Non sembrano essere bastati, insomma, gli 80 euro che tanti italiani hanno trovato in busta paga da fine maggio. E delusi, infatti, nei giorni scorsi, si erano detti i commercianti, per un sostanziale flop dei saldi (cresciuti in media solo dello 0,78% rispetto al 2013). I cittadini continuano a non spendere, forse spaventati dalla prospettiva di un autunno nero.

E sì, perché se è vero che il bonus fiscale è andato a premiare lo zoccolo duro del lavoro dipendente, dall’altro lato diversi milioni di potenziali consumatori, come gli incapienti, le partite Iva o i pensionati, sono stati completamente esclusi. E se adesso si incrina un altro pezzo di welfare, ovvero quello che sostiene i lavoratori in difficoltà – appunto gli ammortizzatori sociali – la paura non può che aumentare, moltiplicarsi. Spingendo a tenere ancora più stretti i cordoni del borsellino.

Perché non solo si deve ancora coprire un buco di 200 milioni per la cassa in deroga del 2013, e non solo – ancor più grave – manca ben 1 miliardo per il 2014, ma il progetto del governo (per il momento congelato, ma pronto a dispiegarsi) è quello di restringere i criteri di accesso, escludendo insomma dagli ammortizzatori sociali sempre più persone.

Né, d’altronde, si attua una qualche forma di politica industriale, per settori come i trasporti, l’acciaio, l’energia, fortemente a rischio. E soprattutto in fuga dall’Italia. Servirà a qualcosa il viaggio del ministro Pier Carlo Padoan in Cina? Riuscirà ad aprire i forzieri orientali, a fare in modo che i “nuovi ricchi” acquistino i nostri gioielli in via di privatizzazione?

Intanto gli operai, gli impiegati, aspettano: ieri il responsabile del Lavoro, Giuliano Poletti, ha assicurato che il tema delle risorse per la cig sarà al centro del prossimo consiglio dei ministri, ma i sindacati non sembrano fidarsi.

Susanna Camusso, come ormai da una settimana a questa parte, anche ieri è stata molto severa nei confronti del presidente del consiglio Renzi: «Assistiamo – ha detto – ad annunci di sblocco senza che apra mai un solo cantiere». Dunque, oltre a risorse per la cig in deroga, la Cgil – insieme a Cisl e Uil – si aspetta «l’avvio di una stagione nuova, perché senza lavoro non è vero che l’Italia cambia». Quindi «ammortizzatori sociali realmente universali, i contratti di solidarietà espansiva, la modifica della riforma delle pensioni targata Fornero; una politica industriale che orienti davvero la produzione del Paese». Forse un po’ troppo per un solo consiglio dei ministri, ma non si può che sperare.