Scegliere di operare sul piano commerciale nel cinema comporta sempre discorsi a metà, cedimento di contenuti, uso di circuiti e linguaggi guanto meno ambigui. È accaduto a Marco Bellocchio nel suo ultimo film Marcia trionfale. Il suo lavoro è diviso (spaccato) in due: la vita militare, la sua crudeltà, il suo autoritarismo e il rapporto donna-militare, grottesco e violento. Il filtro tra queste due parti dei film è costituito dalla recluta Passeri (Michele Placido), un piccolo-borghese egoista e presuntuoso, la cui insicurezza e il cui opportunismo agiscono da chiave di lettura dell’intero lavoro.

Il soldato Passeri a contatto con la vita di caserma reagisce, illudendosi di sfuggirgli, autodistruggendo il suo fisico (non mangiando e non dormendo). Il suo rapporto con le mille inutili e crudeli regole militari è traumatico, l’impatto col superiore, coi «nonni» e con le altre reclute viene descritto rigorosamente, dando uno spaccato della caserma fedele, pesantemente reale. Anche la sua reazione è vera; ma gli si contrappone l’atteggiamento dei suoi colleghi, di estrazione proletaria e quindi maggiormente coscienti del mostruoso meccanismo che incombe su di loro. Questa, parte del film (la migliore senz’altro) procede in un’atmosfera allucinante, l’istituzione totale si esprime nella sua violenza.

È a questo punto che interviene il capitano Asciutto (Franco Nero), campione di virilità ed esempio di combattente. Egli convince a forza di botte la recluta che la simulazione non è la strada giusta, ma che la personalità dì un uomo si forma attraverso la sopraffazione e la violenza. E cosi Passeri reagisce alla prepotenza dei «nonni», aumenta con le sue prestazioni il ritmo delle esercitazioni, diventa «lecchino» e si isola dai suoi commilitoni. Tra i due sorge una reciproca stima che li porta a picchiare insieme omosessuali, a governare insieme la truppa, fino a trasformare il soldato in una spia. In tutta questa descrizione serpeggia l’indecisione (che riteniamo non casuale) del regista rispetto alla volontà dei soldati di rispondere alla condizione autoritaria della caserma.

C’è uno sciopero del rancio, c’è una lettera di denuncia ai giornali, ma manca completamente la cosciente determinazione dei soldati a muoversi come agenti politici. Non ci siamo proprio: i soldati oggi appena arrivano in caserma trovano immediatamente forme di solidarietà, di protesta e di lotta.
Nella seconda parte del film, ci appare una figura di donna-vittima degli uomini, ma anche dei militari: è la moglie del capitano (Miou-Miou).

Assistiamo a liti violentissime, fatte di manette e di sadismi vari; assistiamo alla disperata routine della donna, fatta di cleptomania, di corna e di lavori a maglia mai iniziati, in una casa che sembra una fureria. Anche qui c’è una soluzione di comodo, insieme a spunti descrittivi veritieri. L’esasperazione del rapporto tra i due, le circostanze, i sentimenti, gli aspetti sessuali si dilatano troppo, diventano romanzo, sfiorano il fumetto. L’impressione che se ne trae è di esagerazione, per cui i dati reali, della violenza che la donna subisce dal marito o dall’ufficialetto danaroso e meschino, sembrano dissolversi nell’irreale, snaturando anche ciò che di vero c’è. Comunque il Passeri, per ordine del capitano, si inserisce in questo rapporto, spiando gli sfoghi dell’insoddisfazione vissuta dalla donna. Non avrà mai il coraggio di riferirli al suo superiore, anzi verrà quasi messo in crisi dal comportamento dì lei, dalla sua «insubordinazione».

L’aspetto meno convincente, sicuramente il meno politico, ma anche il meno coerente è costituito dalla disperata negatività della soluzione finale. La bionda moglie del capitano lascia tutto e tutti, rifiutando sì rapporti subalterni ma senza una chiara coscienza, raccogliendo simbolicamente il primo passaggio offerto da un’auto. La recluta assiste impassibile all’uccisione del suo superiore da parte di una sentinella.

Dopo l’esperienza dei precedente Matti da slegare, in cui oltre all’analisi critica dei manicomi vi si prospettava anche una possibilità di cura alternativa, in questo nuovo film di Bellocchio insieme a una descrizione contraddittoria, spesso romanzata, forzata a beneficio di una platea che si vuole statica, non vi è l’ombra di una risposta in positivo, non si considera minimamente un tipo di reazione all’autoritarismo e alla violenza che non sia individualista e impolitica