Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, morto domenica per un attacco cardiaco, è stato sepolto ieri nel mausoleo dell’Imam Khomeini, a fianco del fondatore della Repubblica islamica di cui era stato stretto collaboratore. Una folla enorme, oltre due milioni di persone, molte delle quali in lacrime, ha reso omaggio nelle strade di Teheran all’ex presidente dell’Iran e capo del Consiglio per il discernimento. Le preghiere sono state guidate dalla Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, all’Università di Teheran dove il feretro è stato esposto prima di essere portato nella moschea di Jamaran. Qui si è svolta la cerimonia funebre alla presenza delle più alte autorità dello Stato tra le quali il presidente Hassan Rohani, lo speaker del Parlamento Ali Larijani, e il capo del sistema giudiziario Sadeq Amoli Larijani. Al termine il corteo funebre si è diretto al mausoleo dell’Imam Khomeini dove decine di migliaia di persone si sono riunite per porgere l’ultimo saluto all’ex presidente.

La massiccia partecipazione popolare ai funerali ha confermato il peso che Rafsanjani ha avuto nelle vicende dell’Iran degli ultimi 40 anni. E non solo per il ruolo che svolse nell’avvio della rivoluzione islamica, quando, nel 1977, fu tra i fondatori dell’Associazione dei chierici che si rivelò, due anni dopo, fondamentale per la vittoria di Khomeini e la fine della dittatura dello scià Reza Pahlevi. Rafsanjani è stato il primo speaker del Parlamento iraniano dopo la rivoluzione e presidente della repubblica per due mandati, fino al 1997. La popolarità però la conquistò a capo delle forze armate che negli anni Ottanta, sotto la sua leadership, riuscirono a respingere l’aggressione progettata da Saddam Hussein, convinto di poter sfruttare la debolezza post rivoluzionaria dell’Iran per espandere i confini dell’Iraq. Di lui gli iraniani meno giovani ricordano anche l’avvio di una politica economica che garantì posti di lavoro e fece uscire l’Iran dall’isolamento in cui si trovava dalla rivoluzione.

Molti hanno scritto che Rafsanjani è stato «conservatore pragmatico». Definizione che però va stretta a una personalità di grande influenza politica, con le doti di un abile diplomatico, che è stato promotore della nomina del conservatore Ali Khamenei a Guida suprema dell’Iran dopo la morte di Khomeini e molti anni dopo del successo del presidente moderato Rohani. Fallito il ritorno alla presidenza nel 2005, per la sconfitta al ballottaggio a vantaggio di Mahmud Ahmadinejad, Rafsanjani è stato il principale sostenitore di Rohani. E dietro le quinte anche un protagonista dell’accordo sul programma nucleare iraniano raggiunto a Vienna nel luglio del 2015 tra Tehran e le grandi potenze mondiali.

Molti perciò si domandano quanto la sua morte influirà sulle prossime elezioni presidenziali e sulle possibilità di riconferma per Rohani. Il presidente in carica, privo dell’appoggio di uno dei padri fondatori della repubblica islamica, rischia di indebolirsi ulteriormente nei confronti del campo conservatore e dei potenti Guardiani della Rivoluzione. «Questo scenario è possibile ma, dovesse realizzarsi, non porterà necessariamente vantaggi ai conservatori» spiega al manifesto l’analista Ali Hashem, esperto di Iran «al contrario la scomparsa di un leader tanto stimato come Rafsanjani potrebbe accrescere le simpatie dell’opinione pubblica nei riguardi dei moderati». Occorre tenere conto, aggiunge Hashem, «che i conservatori non hanno trovato un candidato forte e unitario da opporre a Rohani e presenteranno alle presidenziali esponenti senza carisma, quindi non in grado di sconfiggere il capo dello stato in carica. L’unico che potrebbe mettere a rischio la riconferma di Rohani è Ahmadinejad ma la Guida Suprema Khamenei lo ha esortato a non candidarsi».