Che il jazz sia arte dell’istante irripetibile è poco più (o poco meno) di un luogo comune. Da un secolo e mezzo abbiamo trovato modo di fissare i suoni nella materia, cosicché il jazz non subisce più la sorte di tutte le altre note, quella che un mesto Leonardo Da Vinci paragonava a una posizione da eterna seconda rispetto alle altre arti perché «destinata a sparire». Ne deriva che anche il momento considerato supremo delle note in jazz, l’improvvisazione, e il particolare reticolo di giochi relazionali e dinamiche comunicative che si instaurano tra i musicisti, se c’è l’attrezzatura viene tutto salvato. A futura memoria. Un aspetto che mette fortemente in ombra il processo compositivo che in realtà è assai più profondo di quanto si creda, nel jazz, ma che, d’altro canto, ci aiuta con quei musicisti che del momento «live» hanno fatto un perno della propria esistenza. Sfidando il paradosso di essere più noti, in fondo, per certe incisioni considerate «epocali» in studio che per il processo di elaborazione dei materiali sonori prodotti in decenni di palcoscenici.
È il caso di Miles Davis. In quasi nessuna discoteca che si rispetti può mancare Kind of Blue, il capolavoro del ’59, l’anno «che cambiò il jazz» , secondo una fortunata definizione. E Neppure Birth of the Cool, l’insieme di incisioni che portarono una nuova e raffinata estetica nel jazz. O Bitches Brew, la rivoluzione elettrica, o Tutu, sublime canto del cigno dell’ultimo Miles assieme a Marcus Miller riaccostatosi al panorama sonoro «popular», filtrato nella sua maniera inconfondibile: con le antenne dritte verso il futuro. Eppure Miles, scomparso trent’anni fa, a sessantacinque anni, è stato un altro musicista che ha macinato migliaia di chilometri e migliaia di concerti. Il corpus delle registrazioni ufficiali in questo senso è già di per sé imponente, e ci testimonia l’approccio sciamanico e maieutico assieme del Dark Magus: sfidare i propri musicisti a osare l’impossibile, senza rete. Forzare limiti, inventare sul momento nel senso letterale dell’origine latina del termine: in-venio, avere il coraggio di «andare in mezzo alle cose». L’ultima testimonianza «live» e «legale» la trovate (per ora) in Merci Miles! Live at Vienne: rimandiamo su questo al bel racconto di Luigi Onori, lo trovate sul manifesto del 28 luglio scorso. Qui, però, in omaggio a «The Man with the Horn» andremo a praticare qualche indagine sullo sterminato corpus di bootleg, quei dischi «pirata» che, dalla sponda dell’illegalità, o più spesso di una strana semi-legalità, contribuiscono a ricostruire un patrimonio sonoro complessivo. Con un’avvertenza: è una scelta da un mare magnum di possibilità. Miles non finisce mai, e lui stesso aveva dichiarato che avrebbe voluto sempre incidere dal vivo. Forse, anche suo malgrado, come ci racconta, in parte, questo elenco.

ALL STARS RECORDINGS (Definitive Records)
Il viaggio comincia da qui, da un Davis ancora nei suoi vent’anni, e ben deciso a scrollarsi di dosso un’identità bebop già sublimata nel nuovo vento del cool jazz, con tutto il suo contorno profumato di suoni nebbiosi ed eleganti assieme. La registrazione più antica qui (tutte da New York, in studio, al Birdland, al Royal Roost) arriva dal 7 gennaio 1947, la più avanti nel tempo è del febbraio 1950. Miles all’opera con il nonetto leggendario di Tadd Dameron e anche dal vivo con il Tentet, la big band di Illinois Jacquet, e un gruppo con Stan Getz, J.J. Johnson, Art Blakey, Gene Ramey e Dameron.

THE BIRDLAND SESSIONS (Charly Records)
A completamento, tredici tracce dal Birdland che solo in parte replicano quanto contenuto nel precedente disco, le session con Getz, per intenderci, e aggiungono momenti magnifici con, tra gli altri, Sonny Rollins, Eddie «Lockjaw» Davis, Charles Mingus, Jackie McLean. Cronologicamente si arriva al maggio del 1952.

LIVE IN SAINT LOUIS FEBRUARY 16 & 23, 1957 (Rare Live Recordings)
Settantaquattro minuti a documentare il meraviglioso gruppo con John Coltrane, Red Garland, Paul Chambers, Philly Jo Jones. Si tratta di due rare trasmissioni radiofoniche che documentano il precario momento in cui «Trane» fu per la prima volta accanto al Dark Magus, tormentato dalla tossicodipendenza, ma comunque ipercreativo. E destinato a tornare, dopo una proficua parentesi musicale (e non solo) con Monk.

AMSTERDAM CONCERT (Lone Hill Jazz Records)
Allo scorcio del ’57, Miles Davis è in Europa. Il momento in cui sarà chiamato da Louis Malle per incidere la meravigliosa colonna sonora di Ascensore per il patibolo, soundtrack che diventerà il simbolo del «jazz noir» notturno e sottilmente inquietante. Il momento, anche, della relazione per nulla platonica con Juliette Greco. Qui è dal vivo al Concertbouw di Amsterdam con quella formazione: Barney Wilen, René Urtreger, Pierre Michelot, e l’«americano in Europa» Kenny Clarke, già conosciuto ai tempi ruggenti del bebop newyorkese.

THE LEGENDARY 1960 EUROPEAN TOUR (Jazz Plot Records)
La raccolta di tutto quanto sorpavvive (eccetto i concerti all’Olympia e la data di Stoccolma, ne diciamo dopo) del formidabile gruppo con Coltrane, ritornato nei ranghi davisiani per incidere il monumentale Kind of Blue, e prossimo a una sua vera carriera solistica, Wynton Kelly, Paul Chambers, Jimmy Cobb. Molti dei leggendari brani «modali» basati su scale e pochissimi accordi li ritrovate qui, in tre cd, assieme a standard «aperti» ad ogni possibilità. In coda qualche brano da una data capitanata da Coltrane in cui Miles non poté suonare per ragioni contrattuali, a Dusseldolf. C’è anche Stan Getz ospite in un brano.
FRAN-DANCE (Dragon Records)
OLYMPIA 20 MARS 1960 (Europe 1)
Tre cd per ricostruire le due date europee mancanti. Repertorio simile, ma a Stoccolma Miles introduce Fran-Dance, che intitola il bootleg, e nel tempio della musica parigino una monumentale versione di Bye Bye Blackbird da 14 minuti. Pubblico attento in maniera spasmodica, concentrazione elevatissima.

A RARE HOME TOWN APPEARANCE (Jazz View)
Sono passati tre anni dal tour europeo, è il giugno del 1963, Miles suona al Jazz Villa. Coltrane non c’è più, c’è però il sottovalutato nerbo al tenore di George Coleman, sono arrivati Herbie Hancock, Ron Carter, Tony Williams. Interessante la presenza di una Like Someone in Love dove Miles è affiancato da Cleveland Eaton al basso e Theodore Robinson alla batteria.

MILESTONES NEW YORK/ BERLIN/TOKYO (Jazz Door)
Doppio cd con eccellenti registrazioni dal 12 febbraio ’64, New York City, Philarmonic Hall; 25 settembre, Berlino, Filarmonica; 14 luglio, Kohseinenkin Hall, Tokyo. In ogni occasione cambia la figura del tenorista, così ne scaturisce un interessante confronto: sul palco ci sono, a turno, George Coleman, Wayne Shorter e Sam Rivers.

LIVE AT ORIENTAL THEATRE 1966 (Sunburn)
Un bootleg europeo che ci restituisce il «suono» del Teatro Orientale a Portland, Oregon, poco prima che venisse demolito. Due cd che contengono l’unica testimonianza esistente del passaggio nei gruppi di Davis dell’eccellente bassista Richard Davis, accanto a Shorter, Hancock, Williams (l’anno successivo succederà la medesima cosa con il bassista Albert Stinton: lo trovate in una registrazione del 7 aprile ’67 all’Università di California). Da segnalare anche un’altra chicca, per il Teatro Orientale: l’unica versione esistente di Who Can I Turn to?.

MASQUALERO (J-Bop)
Miles ha di nuovo rovesciato il tavolo (estetico) della sua musica, in questi anni: s’è messo accanto giovani e giovanissimi leoni destinati ad avere un peso notevole, nella storia del jazz. La «maieutica» davisiana comincia a funzionare a pieno regime. E altro bolle in pentola. Qui, ad Anversa, nel 1967, potete ascoltare accanto a Miles l’assestata formazione con Shorter (ancora solo tenorista), Hancock, Carter, Williams. Chi ne cercasse altre tracce può provare a recuperare No Blues (JMY), identica formazione, a Parigi il 6 novembre ‘67.

COMPLETE LIVE AT THE BLUE CORONET 1969 (Domino Records)
Un doppio cd che racchiude tutto quanto è rimasto dai nastri di un avventore che era andato ad ascoltare il Quintetto di Miles con Shorter, Chick Corea, Dave Holland e Jack DeJohnette al Blue Coronet di Brooklyn, giugno ’69, immediatamente prima della partenza per un intenso tour europeo. Corea ha le dita sul piano elettrico, Holland alterna contrabbasso e basso elettrico, Bitches Brew e In a Silent Way sono arrivati, e Miles ormai è immerso nei flussi sonori saturi di watt che costruiscono, istante dopo istante, quella che il musicologo Gianfranco Salvatore ha definito «iterazione variata»: un micidiale meccanismo che Miles comanda a gesti e con segnali sonori stabiliti, che incorpora decine di microvariazioni. C’è una storia inquietante su questa data, la raccontò Down Beat. Miles era in macchina, nell’East Village, la mattina del 9 ottobre, e chiacchierava con un amico, quando all’improvviso sente un dolore lancinante. Gli hanno sparato all’anca. Soccorso e portato all’ospedale, la ferita per fortuna non è grave. Miles racconta alla polizia che quattro giorni prima ha ricevuto un misterioso «avvertimento» mafioso: se vuole suonare al club, dovrà pagare una bella quota di pizzo. Dopo questa data, non ci suonerà mai più.

LIVE IN ROME & COPENAGHEN 1969 (Gambit Records)
Dolorante, ma in piedi, Davis parte per il primo vero tour elettrico in Europa, dal 26 ottobre al 9 novembre. Stessa formazione della famigerata data al Coronet, un grumo di elettricità ritmica che comincia a marciare a pieno regime, descritto da Miles nella sua autobiografia come «really a bad motherfucker», gente tosta davvero. A Roma Davis il 27 ottobre al Sistina, in Danimarca, al Tivoli Koncertsal il 4 novembre. Si può accostare a questo doppio il Live in Berlin 1969, 7 novembre, (Gambit Records) che in coda presenta anche tre brani registrati al festival di Montreux a luglio. Chi poi cercasse di quest’ultima apparizione un set più completo si procuri It’s About that Time/Miles Live in Montreux 1969 (Jazz Door)

LIVE 1970/1973 (MD Minotauro Records)
Quando apparve diversi anni prima del ritrovamento dei nastri pubblicati ufficialmente dalla Columbia delle Cellar Door Sessions, questo cofanetto bootleg per parecchio sembrò un po’ il sacro Graal del Davis «maledetto» e riscoperto. Quattro anni cruciali in cui si avvicendano molti musicisti: Shorter, Corea, McLaughlin, Holland, DeJohnette, Moreira Bartz, Jarrett, Henderson, Chandler, Alias, Mtume, Foster, Liebman, Cosey, Lucas, Santos. Data del ’70 dal Fillmore West, ’71 da Boston e da Dietikon, Svizzera, ’73 da Berlino. Una visione quasi «sinottica» del primo Miles elettrico.

SAN FRANCISCO 1970 (Left Field Media)
Trasmissione radiofonica tratta dal Fillmore West, la prima delle quattro date addizionali nel tempio del rock psichedelico che Bill Graham dovette aggiungere, dopo i concerti di aprile. Questo è parte dello show di giovedì 15 ottobre, Miles sale sul palco (dopo due altri set: Leon Russell e Sea Train) con Gary Bartz, Keith Jarrett, Michael Henderson, Jack DeJohnette, e le doppie percussioni di Airto Moreira e Jumma Santos. Bitches Brew dal vivo, in pratica.

PAUL’S MALL BOSTON, SEPTEMBER 1972 (Hi Hat)
Un anno poco documentato, nei concerti davisiani: supplisce questo notevole live a Boston, più o meno tra la registrazione e la pubblicazione dell’incandescente On the Corner. Formazione elettrica a nove, sul palco le tabla di Badal Roy, il sitar di Khalil Balakrishna, il basso di Michael Henderson, e la musica prende una palpitante filigrana «etnica» e modale nel muro di watt.

LIVE IN TOKYO 1975 (Hi Hat)
Due cd per annunciare un vero e proprio «canto del cigno» elettrico al massimo della potenza dark davisiana, prima del drammatico ritiro dalle scene per oltre un lustro. Il posto è la Shinjuku Kohseinenkin Hall di Tokyo, la data il 22 gennaio: siamo dunque dieci giorni prima l’incisione di Agartha e Pangaea, e qui compaiono brani che lì non trovate. Ad esempio Ife, da Big Fun, e Mtume, su Get up with it. «Heavy metal funk jazz», se ci passate la definizione, dallo sciamano imbottito di codeina e morfina per contrastare il dolore alla gamba ferita. Da accoppiare a Live in Tokyo 1973, stessa location.

LIVE AT THE HOLLYWOOD BOWL 1981(Gambit Records)
Nel medesimo stadio dove tennero un concerto trionfale i Doors di Jim Morrison, si riaffaccia dopo oltre un lustro d’assenza lo sciamano elettrico tornato in scena. Alle spalle i brani registrati per The Man with the Horn e We Want Miles, una nuova carica «popular», il suono riconquistato soffio dopo soffio. Bill Evans ai sax, Mike Stern alla chitarra, Marcus Miller al basso, Al Foster alla batteria, Mino Cinelu alle percussioni. Applausi. Da accoppiare a Fat Time (Jazz Door), identica formazione, diverse campiture temporali.

UNISSUED ’85 (On Stage Records)
Bootleg italiano doppio, registrazioni dal concerto al Falkoner Teatret di Copenaghen del 22 ottobre 1985. Ci trovate Human Nature, Star People, ma anche brani ben poco noti come Stronger than Before e quella Rubberband che intitolerà il suo secondo disco postumo «ricostruito». La formazione è quella con Bob Berg e la deliziosa Marilyn Mazur alle percussioni.
LIVE IN SAN JUAN ’89 (Hi Hat)
Un bootleg che documenta una trasmissione radiofonica dell’ottetto davisiano da un piccolo club californiano, non da un’arena, come ormai succedeva sistematicamente. In formazione Kenny Garrett a contralto e flauto, e i sintetizzatori futuristici di Kei Agagi. Due soli brani indicati in copertina: Mr. Pastorius, per il grande bassista dei Weather Report, e Tutu. In realtà nel primo brano indicato ci trovate anche Human Nature e Street Scenes. Chi volesse un degno bootleg pendant dello stesso periodo e con la stessa formazione cerchi Time After Time (Jazz Door), compilation da tracce registrate in otto città diverse nel tour dell’89, dipanata su due cd.

BLACK DEVIL (Beech Marten Records)
«Il» bootleg di Davis, doppio, da mettere accanto, con rispetto e rimpianto, all’ufficiale Merci Miles. Disponibile anche in video, e misteriosamente mai diventato documento ufficiale, considerata anche la qualità perfetta delle registrazioni. Il 10 luglio 1991 il Dark Magus alla Gran Halle de la Villette di Parigi offre un set intensamente popular e elettrico sulle sue ultime produzioni, con la band dove svetta Kenny Garrett, e poi dà il via alle ospitate dei suoi compagni storici di palco degli ultimi trent’anni, con brani come Watermelon Man, All Blues, In a Silent Way. Ma c’è anche Penetration, il brano di Prince (che Miles molto stimava) che ora trovate anche su Merci Miles. Un sogno che si realizza, e che purtroppo ha un po’ anche il sapore, a posteriori, di un riepilogo-addio. Salgono in scena Wayne Shorter, Joe Zawinul, Bill Evans, Steve Grossman, Chick Corea, Dave Holland, Al Foster, John McLaughlin, John Scofield, Darryl «The Munch» Jones, Jackie McLean, Herbie Hancock.