Sketches of Spain, l’album del 1959-‘60 firmato da Miles Davis e Gil Evans, rappresenta una delle pagine più alte della collaborazione fra questi giganti del jazz. Luglio Suona Bene 2013 e il Festival del Sassofono propongono il 29 luglio, nella cavea del capitolino Parco della Musica in prima assoluta (coproduzione Musica per Roma, Inps), il concerto Reflections on Sketches of Spain. Sul palcoscenico per una esecuzione della ««partitura originale con le incursioni di Uri Caine»» il pianista americano (celebri le sue riletture di Bach, Mahler, Mozart e Wagner, già direttore della Biennale di Venezia), gli ottoni di Paolo Fresu e la Parco della Musica Jazz Orchestra, diretta da Mario Corvini.

Davis è stato per un lungo periodo affascinato da quello che Jelly Roll Morton chiamava lo «spanish tinge», in particolare dal «mood» che si esprimeva attraverso una serie di scale che metteva in stretta relazione il «cante hondo» con il blues (si pensi a Flamenco Sketches o a Blues for Pablo). Nel 1959 un amico del trombettista gli fece ascoltare il Concerto de Aranjuez per chitarra e orchestra del compositore spagnolo contemporaneo Joaquim Rodriguez. Miles Davis ne fu folgorato e trasmise la sua passione all’amico arrangiatore Gil Evans che cominciò a lavorare ad una versione orchestrale del concerto. Evans e Davis lavorarono anche su una sezione della musica per balletto di Manuel de Falla El Amor Brujo (nel Lp Will O’ the Wisp), su una melodia tratta dal folclore iberico (The Pan Piper) e su temi del flamenco (Saeta e Solea). Complice Teo Macero registrarono il tutto per la Columbia e nacque, dopo Miles Ahead e Porgy and Bess, Sketches of Spain.

La combinazione originalissima fra materiale di base, arrangiamenti ed il solismo di Davis convinse immediatamente in modo entusiastico persone come il critico Nat Hentoff ed il compositore classico Hall Overton e grande fu il successo di vendite. Della rilettura di questo capolavoro abbiamo parlato con Paolo Fresu, la cui poetica è stata fortemente ispirata da Davis.

Dopo «Porgy and Bess»e «Birth of the Cool» si arriva alla rilettura di «Sketches of Spain»: in cosa differiscono o sono simili le «Reflections» rispetto alle operazioni precedenti e quale sarà il tuo ruolo: battitore libero sulla partitura, nello spirito di Miles?

In realtà Sketches of Spain nella sua versione filologica l’avevo già eseguita diversi anni fa al Teatro di Vicenza con la direzione di Maria Schneider (allieva di Gil Evans, ndr). Poi a Umbria Jazz lo scorso anno. Le Reflections sono un’interpretazione molto più libera rispetto al passato, anche perché la presenza di Uri Caine, oltre alla mia tromba, dà al tutto un altro senso. C’è addirittura l’idea di inframmezzare parti di Sketches con i brani del nostro repertorio. Gli argomenti intorno alla filologia delle partiture orchestrali del jazz sono sempre molto interessanti e discussi. In questo caso l’operazione è ancora diversa in quanto attingeremo, noi solisti, dalla versione di Davis e Gil Evans mentre l’Orchestra suonerà (credo) la partitura originale di Evans che sarà a sua volta destrutturata.

Tra la PMJO e te in veste di solista, quale sarà dunque il compito affidato ad Uri Caine, compito favorito comunque dalla vostra lunga collaborazione?

In realtà non ne abbiamo parlato. Confido nella creatività di Uri che è sempre molto aperto e bulimico nei confronti di tutte le musiche. Lui conosce bene quel disco e quell’opera. Credo che questo sia più che sufficiente perché possa portare il suo afflato rispettando l’opera ma allo stesso tempo portandovi all’interno il suo pensiero.

Nella situazione culturale odierna le «Reflections on Sketches of Spain» non possono essere percepite come un’operazione di repertorio, «museale» e confermare la teoria di molti sulla fine del jazz e la sua incapacità di leggere il mondo contemporaneo?

Credo che il jazz sia tutt’altro che finito. Quelli che pensano che il jazz sia morto con Coltrane e con Parker sono morti dentro e vedono il mondo in bianco e nero. Il problema, dal mio punto di vista, non è cosa si suona ma come lo si suona. Soprattutto nella contemporaneità odierna dove le architetture sonore sono molto diverse rispetto al passato. Da questo punto di vista definirei Gil Evans il predecessore di quella nuova attenzione verso il suono che oggi rende tutto diverso, grazie anche alla tecnologia.

Cosa ritieni sia ancora vivo nel messaggio di Davis e, in questo caso soprattutto, di Gil Evans?

Miles e Gil erano totalmente complementari. C’era tra di loro una simbiosi totale e Gil era il sarto in grado di cucire un vestito perfetto sulla personalità di Miles. Questa mi sembra una bella metafora, soprattutto in un momento in cui non ci si ascolta e ci si parla spesso addosso. Sia Gil che Miles hanno cambiato il corso della musica del Novecento miscelando pochi ingredienti. La musica non ha bisogno di molto. Ha bisogno di anima e questa si cela soprattutto nel silenzio…