Milano è in costruzione, sempre. Ma il padiglione più complicato da costruire nell’anno dell’Expo non è un padiglione: è una moschea. Dopo tre anni di polemiche e discussioni non molto simpatiche – l’islam milanese è diviso ed è materia complessa che interessa il mondo intero – finalmente oggi è stato pubblicato il bando per l’assegnazione di tre aree pubbliche destinate a luoghi di culto (l’area dell’ex Palasharp, zona Lampugnano, gli ex bagni pubblici di via Esterle, zona via Padova, e uno spazio in via Merignano, al confine con San Donato Milanese).

Ci è voluto un anno solo per la stesura del bando. Ci vorranno ancora due mesi per valutare i progetti presentati dalle varie associazioni dell’islam milanese regolarmente riconosciute sul territorio. Servirà un altro mese e mezzo per sapere chi “vincerà” la gara per gli spazi in affitto (7.600 euro all’anno per via Marignano, 10 mila per l’area del Palasharp e 25 mila per vie Esterle).

Nei prossimi sessanta giorni, dietro le quinte, ci sarà un dibattito molto serrato tra i rappresentanti del mondo islamico milanese. Da decenni pregano in luoghi inadatti, sale anonime, scantinati, sottoscala e anche garage riadattati, come nella moschea in viale Jenner. Alcuni nodi sono tutt’ora irrisolti. E continueranno ad esserlo, nonostante il Comune di Milano, e con particolare attenzione l’assessore Pierfrancesco Majorino, abbia cercato di lavorare per una soluzione condivisa da tutte le associazioni.

A Milano ci sono circa 100 mila fedeli musulmani. Il nodo principale, in sintesi, sta nel fatto che alcune comunità (senegalese e marocchina, per esempio) non si riconoscono nel Caim (il Coordinamento guidato da Davide Piccardo dove sono più numerose le associazioni islamiche): sarebbe troppo vicino alle posizioni dei Fratelli musulmani.

Inutile negare che il “problema”, in un contesto mutato non solo sullo scenario internazionale ed europeo, diventa politico anche per Palazzo Marino. Qui in Italia, grazie alle miserie di questa crisi sistemica che non è solo economica, le nuove destre già si stanno portando avanti per fomentare le prossime campagne razziste. E già si registrano le prime resistenze (verbali) di alcuni cittadini “esasperati” che vivono nei tre luoghi prestabiliti per la costruzione dei luoghi di culto. Non saranno proteste difficili da cavalcare.

Anche nell’aula comunale, nelle scorse settimane, Lega e Fratelli d’Italia non si sono fatti mancare niente, con proteste plateali e pagliacciate col burqa. Il contesto del resto è quello che è: il bando è appena stato presentato e sui siti mainstream già circolano le prime riflessioni (dove prendono i soldi, che si facciano le moschee a casa loro, ci sono italiani che fanno la fila alla Caritas…). Serve a qualcosa dire che per la costruzione delle moschee il Comune non sborserà un euro?

Alla fine il centrodestra, sulla carta, è riuscito a strappare un codicillo in più. Poca cosa, ma è scritto nero su bianco sul bando in questione. Per l’assegnazione degli spazi su cui costruire le moschee farà punteggio anche l’iscrizione alla lista stilata dal governo Prodi nel 2007 (con Giuliano Amato ministro degli Interni) in cui si poteva figurare solo dopo aver garantito l’assenza di legami con associazioni internazionali sospette di terrorismo.

Voleva essere un siluro al Caim, ma fortunatamente non tocca ancora ai consiglieri Matteo Forte e Manfredi Palmeri attribuire patenti di terrorismo internazionale a questa o quella associazione. Una precisazione viene dall’assessore Pierfrancesco Majorino che da tre mesi si è occupato di scrivere (e riscrivere) il bando: “Sarà un elemento di premialità in più far parte di quella lista del ministro Amato. Ma non sarà un criterio escludente, nel senso che ci sono anche altri fattori che daranno punteggio, come l’aver avuto rapporti costruttivi con l’amministrazione nel passato recente e presentare progetti con attività sociali e culturali rivolti al quartiere”.

Insomma, nessuna preclusione. Tra gli altri criteri qualificanti, la tracciabilità finanziaria delle donazioni ricevute, l’apertura al dialogo con il quartiere, la trasparenza e le prediche fatte in italiano.