Il primo turno delle elezioni amministrative milanesi prevedeva per la prima volta l’elezione diretta del presidente dei nuovi Municipi, qui a Milano precedentemente chiamati consigli di zona. Una piccola riforma obbligatoria per via dell’istituzione della città metropolitana, che è arrivata alla fine del mandato e colpevolmente in sordina, tant’è che pochi elettori hanno davvero capito di cosa si trattasse e soprattutto in pochi sapevano che cosa e chi si dovesse davvero votare.

Questa cosa aggrava l’esito delle votazioni che ha visto passare al centro-destra di Parisi 5 municipi su 9, ribaltando in parte il cappotto del 2011 dopo l’elezione di Giuliano Pisapia.

Il centrosinistra ha tenuto la zona 1, la più piccola per numero di abitanti (circa 100.000) per esempio, ma ha perso la zona 2, quella della famosa via Padova, a nord di Loreto o Noli (North of Loreto) come è stata ribattezzata dagli hipster-milanesi; ha tenuto la ben amministrata zona 8, per numero di abitanti la terza città di Lombardia (più di 180.000), ma ha perso la storica zona-rossa, la 9, che inizia con i grattacieli e boschi verticali del nuovo centro direzionale, molto visitato e apprezzato da cittadini e turisti, per chiudersi a nord con quartiere di Bruzzano (dimenticato da tutti).

Dove il centrosinistra ha perso, come la zona 2 ad esempio, lo fa prendendo meno voti per il candidato presidente del candidato sindaco, rispettivamente il 38,49% contro il 39,1%, o come in zona 9 dove il candidato Stefano Indovino prende il 38,92% contro il 40,18% di Beppe Sala, tendenza più o meno confermata ovunque. Ma è successo anche il contrario, come in zona 8, dove il riconfermato Simone Zambelli prende un 1,64% in più di Sala.

Ulteriori più interessanti valutazioni si potranno fare quando avremo il quadro complessivo del voto quartiere per quartiere, via per via, ma già adesso possiamo dire che la sconfitta nei quartieri brucia di più proprio perché è li che si misura la temperatura di gradimento di una amministrazione, proprio in vista della nascita dei nuovi municipi, che dovrebbero a detta di statuto nascere per riavvicinare i cittadini alle istituzioni ed alla politica, essere le cosiddette istituzioni di prossimità. Ed è li che leggiamo il maggior scarto tra l’annunciato e l’effettivamente realizzato.

Dove conta di più un mancato sottopassaggio che isola dai servizi di quartiere che il successo della nuova Darsena, o dove l’insicurezza o la percezione di essa associata al bisogno di casa non vengono appagati dalla realizzazione della nuova metropolitana. Dove la via Gola dei Navigli fortino dello spaccio di cocaina in pieno centro non crea solo disagio ma anche e soprattutto rassegnazione che niente possa più cambiare.

Bastava raccontare per davvero quello che si sentiva dire al mercato. “Noi” (la lista Novissima, ndr) abbiamo raccolto firme per un progetto autonomo e municipale nella zona 9, (più di 500 in tre mattinate, ma sbagliando da pivelli la certificazione) e durante quell’esperimento abbiamo toccato con mano lo “spirito” della città rendendoci conto di cosa stava covando sotto traccia. Distacco, malumore, rabbia e perfino disprezzo per chiunque si impegni genuinamente per le proprie idee. Invece, durante la campagna elettorale si è parlato di un uso strumentale da parte della destra di questo disagio, oppure di una incapacità di comunicazione da parte dei consigli di zona. Rimane però l’impressione che, a parte la zona 1, saldamente nelle mani dei cosiddetti salotti buoni della città, il centro sinistra abbia vinto laddove ha governato meglio. In fondo è questo il trucco per essere promossi.