La proiezione milanese del documentario Prog Revolution di Rossana de Michele, con la regia di Jacopo Rondinelli, è stata un’occasione unica, due sere fa all’interno del festival Il cinema italiano visto da Milano, per riunire, sul piccolo palco della Sala Oberdan, quasi tutti i protagonisti milanesi di quel breve (quasi) decennio di musica e utopia che si animava nelle strade, nei parchi, nei centri sociali sulle note politiche e liberissime della musica Progressive.
Sono passati quasi quarant’anni dal concerto all’Arena Civica di Milano, nel 1979, omaggio dell’appena scomparso Demetrio Stratos, e negli occhi di Eugenio Finardi, Mauro Pagani, Stefano Seinardi, e tanti altri ospiti che quel giorno radunarono circa 60 mila spettatori, il ricordo riaffiora senza nostalgie a fine proiezione. Prog Revolution si concentra esclusivamente sulle band milanesi – PMF, Area, Eugenio Finardi – che a partire dal 1972 agitarono una scena musicale dove il bel canto e i 45 giri da tre minuti erano ancora il pensiero dominante dell’industria discografica.

I futuri rivoluzionari della tecnica musicale provenivano dal beat, dalle hit americane reincise con testo italiano, da un sentimento anti-rock che oggi suona quasi fantascientifico «Jimi Hendrix, poco prima di Woodstock, voleva suonare gratis a Roma, non pretendeva nulla, solo un buon impianto acustico» ricorda con «rabbia» il discografico Stefano Seinardi «ma il movimento studentesco disse di no perché tutti sapevano che era un tossicodipendente e la droga era bandita, almeno formalmente, come il rock».

«Alla fine degli anni ’60 – aggiunge Pagani – i giovani non ’esistevano’: non c’erano negozi di abbigliamento, luoghi di aggregazione, eravamo considerati come dei foruncolosi in attesa di ereditare il posto di lavoro dei genitori» e per certi versi ancora fascista «i referendum su aborto e divorzio sembravano miraggi, esisteva ancora il delitto d’onore e credo che questa eredità fosse ancora in qualche modo presente in quegli anni». Pur tra le mille contraddizioni di un movimento a tratti confuso, Eugenio Finardi ricorda la fertilità culturale di una Milano che chiaramente non esiste più «All’epoca i musicisti si scambiavano membri della band, idee, si organizzavano cene con John Cage e trovavi fra i commensali operai di Finmeccanica poi tornavi a casa ed era facile scrivere una canzone. La nascita di Radio Milano Città Libera, l’arrivo della stampa alternativa come Re Nudo, c’era una grande voglia di sperimentare anche con la grafica, con le illustrazioni. Milano era una città-strato dove tutto era condiviso, intessuto di idee, insomma un periodo irripetibile».