Due giorni è durato il coprifuoco, poi un appello dei gestori dei locali ha trovato orecchie sensibili presso le istituzioni e il lutto è finito. Da ieri pomeriggio a Milano è resuscitato l’aperitivo, uno dei riti più legati alla Milano da bere di craxiana memoria e che da lunedì scorso l’emergenza coronavirus aveva mortificato, imponendo la serrata di bar e luoghi di ritrovo dalle 18 alle 6. Ora si può ricominciare a bere cocktail e birre accompagnati da ogni bendiddio che la fantasia del gestore partirorisca, a patto che si sia serviti ai tavoli per evitare l’assembramento al bancone.

Compromesso un po’ ipocrita? Salvataggio degli incassi? Ripensamento per bilanciare il via libera a brioche e caffè? Voglia di ricominciare? Chi lo sa, quel che è certo è che, nonostante le nuove regole siano state rese note solo nel primo pomeriggio, alle 18,00 c’era già chi entrava nei bar felice. L’unico problema è che non tutti i gestori erano pronti a questo cambio di rotta.

A parte lo storico bar Jamaica che già lunedì si era ribellato esponendo un cartello con scritto «Non ci avranno mai!!! Giam non ha chiuso sotto i bombardamenti e deve chiudere per un’isteria collettiva?», tutti gli altri erano stati ben attenti a rispettare le nuove ordinanze. I più ligi di tutti sono stati i cinesi che hanno chiuso tutto: bar, negozi, lavanderie, ristoranti, parrucchieri, centri massaggio e di cura per le unghie, sartorie esponendo cartelli con scritto «Il nostro esercizio ha deciso di sospendere le attività a data da destinarsi per dare un contributo alla comunità e tutelare la salute di tutti». Qualche buontempone ha scritto accanto a tutto ciò «Oramai!», ma per il resto Milano è rimasta molto colpita da tale serrata, anche perché i commercianti cinesi sono sempre aperti e a basso costo.

Tornando al nostro aperitivo, alle 17,50 arrivo a una frequentatissima enoteca in piena China town, unico baluardo, con qualche farmacia, aperto in mezzo a un deserto di saracinesce abbassate e la cosa fa davvero impressione se si pensa al pullulare di vita che c’è di solito lì. Chiedo un bicchiere di vino e subito accanto a me arriva un signore che dice: «Dammi quattro bicchieri che li beviamo al volo». Lo avviso che il coprifuoco è finito e lui fa «Evvai!», neanche avesse vinto alla lotteria. Il gestore ci gela aggiungendo: «Comunque continueremo a chiudere alle 18 perché, anche se abbiamo qualche tavolo fuori, qui la gente sta soprattutto al bancone.

La clientela in questi tre giorni si è organizzata anticipando l’orario o comprando bottiglie che poi si beve a casa». È esattamente quello che fa il mio vicino entusiasta che spende 160 euro in champagne da portare a un’amica che festeggia i 50 anni. Un po’ brilla, perché ho ingollato in cinque minuti uno chardonnay mangiando solo una delle poche tartine rimaste e un po’ rinsecchite, mi dirigo verso un altro frequentatissimo locale attaccato al Blue Note e mi trovo dietro a una comitiva di dieci ragazzi che parlano inglese. Vorrebbero tanto sedersi e gozzovigliare, ma il gestore dice loro: «Mi dispiace, per stasera posso solo darvi una birra da bere fuori perché stiamo per chiudere. Abbiamo saputo solo due ore fa che il coprifuoco è finito, siamo appena in due e non c’è niente di pronto da mangiare. Tornate domani e saremo attrezzati».

Un altro bar che di solito è stracolmo di gente fino alle 22 è invece aperto e pronto, con il bancone traboccante tartine e focacce. Non vedevano l’ora che finisse il divieto, peccato che dentro ci siano solo quattro persone, ma sono solo le 19, la voce deve spargersi. Di sicuro da domani avranno le loro soddisfazioni, la gente tornerà a sbevazzare e a riempirsi i piatti di prosciutto, formaggio, bruschette, olive. Milano è la città italiana più popolata da single che hanno sostituito la cena con l’aperitivo. Con meno di dieci euro si saziano, chiacchierano, incontrano e magari cuccano. Se non si preoccupano del loro fegato, perché mai dovrebbero avere paura di un virus.