Un’estate «Made in Usa», nel più classico dei campi vacanze. C’è chi pesca, chi se la canta attorno al fuoco e chi gioca al maschio alfa. Ma Aiden no: lui se ne sta ai margini, con in testa solo strani intorcinamenti ossessivo-compulsivi e quella morbosa fascinazione per il sangue e i fiammiferi… Comincia con i toni di uno «slasher movie» Flamer di Mike Curato (Tunué, pp. 368, € 19,90).

E a leggere le cronache recenti sugli 850 milioni di dollari in risarcimenti per abusi sui minori che hanno mandato in bancarotta i Boy Scouts of America, avrebbe tutte le premesse per esserlo. E invece: «Ah! Non l’avevo mai considerato in questo senso…» precisa lo sceneggiatore e disegnatore americano-filippino poco più che trentenne a proposito del suo romanzo grafico d’esordio. «A suggerirmi l’ambientazione in un campeggio estivo è stata una scena del libro che è capitata a me… ma il “summer camp” è il luogo clou della mia adolescenza, un posto magico in cui ho potuto godere della mia libertà ma anche intrecciare relazioni e spunti drammatici».

E C’È TANTO di tutto, nel bildungsroman che racconta il percorso del giovanissimo protagonista verso il coming out. «A parte le mie esperienze personali, ho preso ispirazione da altri graphic novel, non solo LGBTQ+. Ci sono memoir gay come Fun Home-Una tragicommedia familiare di Alison Bechdel, ma anche American Born Chinese di Gene Luen Yang sull’esperienza degli adolescenti asiatico-americani. Anche Stitches-29 punti di David Small, E la chiamano estate di Jillian e Mariko Tamaki e Blankets di Craig Thompson mi hanno influenzato molto».

Al centro di questa storia di autoconsapevolezza e autoaccettazione, un quattrodicenne come tanti: non avvenente, né portato per gli sport né cool o simpatico. E nemmeno WASP, quindi costretto a sudarsi allo stesso tempo un’identità sessuale e civile. Su questo, però, l’autore minimizza: «Gli esseri umani sono sfaccettati per natura. Le nostre vite sono stratificazioni di esperienze vissute. Quindi, il problema non è stato bilanciare questi aspetti, ma organizzare la narrazione in modo che la storia filasse liscia». Da qui la scelta di uno stile narrativo e grafico diverso e meno «grazioso» rispetto a quello adottato dall’autore in lavori per il pubblico infantile come la serie dedicata all’elefantino Piccolo Elliott. «Volevo che lo stile dei disegni di Flamer rispecchiasse l’angoscia e il dolore della storia», sottolinea Curato. «C’è voluto molto tempo per trovare stile e materiali appropriati. Alla fine, ho abbinato matita nera ruvida e acquerelli, ideali per dare profondità e colore».

Una paletta violenta di gialli arancio e rossi che nei momenti chiave della trama accende il bianco e nero delle tavole per attirare lo sguardo del lettore sui dettagli più importanti. Ma non solo: «In inglese», spiega Curato, «il termine “flamer” è una definizione dispregiativa per ogni gay dagli atteggiamenti chiassosi. Però il fuoco è anche un simbolo potente, un modo per affermare che essere gay è una forza, non una debolezza. E in tutto il libro, le fiamme sono uno strumento visivo per rappresentare emozioni come rabbia, amore, paura, solennità».

UNA BELLA scommessa, il passaggio dalla narrativa preschool a un fumetto di 360 pagine su un tema aspro come la lotta per l’identità sessuale. Che però il giovane cartoonist residente a Northampton, Massachussets sembra aver vinto. «Per quanto preoccupato di aver cambiato genere con un libro tanto “pesante”, dai miei lettori non ho ricevuto nient’altro che supporto. È stato un sollievo, e ovviamente sono loro molto grato».

ANCHE e soprattutto per l’importanza del messaggio che Flamer veicola al pubblico del romanzo grafico. «Proprio come Aiden, da adolescente ho coltivato pensieri suicidi. Il punto importante per chi legge è proprio questo, fare in modo che si sentano compresi. I giovani LGBTQ+ corrono rischi molto più elevati di suicidio, autolesionismo e vita da homeless rispetto ai loro coetanei etero. Il libro vuole essere una sorta di zattera di salvataggio per tutte le persone che lottano alla ricerca di una comunità».

PERCHÉ anche in un momento storico e in un contesto in cui l’inclusività sembra inscritta nello «spirito del tempo», sui diritti civili c’è ancora molto da lavorare. «L’odio razziale e queer è sempre lì. Le brutture degli ultimi anni hanno solo portato in primo piano la necessità di un cambiamento sociale. Se gli Stati Uniti vogliono essere una vera unione, devono accogliere tutti i cittadini, non solo pochi privilegiati… Se vogliamo cambiare, se vogliamo una strada da percorrere, abbiamo bisogno di ascoltare le voci di chi finora non è stato visto né ascoltato».