Prima ancora di cominciare, l’unica cosa certa è che uno dei titoli più attesi qui sulla Croisette, e come gli altri capolavori di questo Cannes 2015 – il film di Garrel e quello di Desplechin – è infine atterrato nella sezione di Edouard Waintrop, la Quinzaine. Parliamo di Le mille e una notte, il nuovo film di uno dei registi più talentuosi di questo millennio, il portoghese Miguel Gomes. Dopo avere raccontato il passato coloniale del suo paese nel melò neoclassico Tabu, torna al presente, al Portogallo nel tempo della Troika, dei ricatti dell’Europa, della politica sottomessa all’economia.

Le mille e una notte è la risposta di Gomes a tutto questo. Risposta monumentale: un film di sei ore costituito da tre parti: «L’inquieto», «Il desolato», «L’incantato». «L’inquieto», proiettato oggi, contiene il racconto quadro – l’unico ispirato al romanzo. Allora, ricordiamo il «quadro» di Le mille e una notte. Tradito dalla moglie, un sultano decide di farla finita con l’amore. Ogni sera, il gran visir (specie di primo ministro), deve portare una vergine al sultano, che questi stupra e uccide. Quando le vergini cominciano a scarseggiare, il visir teme per la propria testa. Sheherazade si offre volontaria con l’idea di raccontare ogni notte una storia diversa, in modo che il sultano, accattivato dalla «serie», sia obbligato a tenere in vita il narratore.

Cosa c’entra Shérazade con la Troika, l’euro, il portogallo e la crisi ? Per capirlo, bisogna seguire Gomes passo passo, cominciando da Viano di Castelo. A Viano c’è un cantiere navale, cuore del Portogallo industriale. I cantieri stanno chiudendo e Miguel vuole essere qui. Ma come esserci? Che vuol dire fare un film sulla classe operaia in lotta? Gomes filma un corteo. Cosa sta facendo? Una fiction? Un documentario ? Vengono alla mente le immagini di Mia Madre, proiettato stamane, dove una regista (Margherita Bui) gira un film «impegnato». Questa parola disturba la regista : «non sopporto più tutta questa retorica». Anche per Gomes è così. Nel «diario di bordo», tenuto mentre girava Le mille e una notte, al 21 novembre, annota: «Fare questo film è l’idea più stupida della mia vita. Come si può fare un film di intervento sociale e filmare delle storie meravigliose?». Questa frase è messa in scena nel film: Gomes, seduto davanti alla macchina da presa, fa una cosa molto «morettiana»»: si alza e se ne va correndo. Ancora nel diario: «Fuggo per le strade di Vianao, inseguito dalla troupe del film.» Finzione? Realtà? L’uno e l’altro: verità della finzione.

I primi minuti, mostrano il travaglio del regista, l’inquieto del titolo. La strada del film è ancora da trovare (ma ovviamente già c’è). C’è un bisogno pressante: raccontare quello che sta succedendo al Portogallo. Ma c’è anche una voglia antica: raccontare per il gusto di raccontare. Come conciliarle? A questo problema, se ne aggiunge un altro: la difficoltà di finanziare il film. Il Portogallo ha azzerato gli aiuti al cinema. Le «autorità» distruggono il cinema. Gomes rappresenta questa situazione facendosi interrare fino al collo nella sabbia. Impedire di girare vuol dire uccidere un regista: sulla base di questa idea Gomes veste i panni di Sheherazade e, da condannato a morte, propone alle autorità un patto: lasciatemi vivere il tempo di raccontare una storia…

Sarà una storia lunga e magnifica, che mescola con arte e generosità invenzioni fantastiche, visioni catastrofiche, aprendo passaggi immediati e efficacissimi tra il mito e l’attualità. Nel primo racconto, un sortilegio magico rende la virilità ai membri della troika e del governo che, ebbri di sensualità, si convertono all’anti-austerità. Poi la narrazione si sposta nella cittadina di Resende, dove assistiamo al giudizio di un gallo e a una storia di cuori infranti e di foreste incendiate. Piccole vicende, si dirà. Ma non lo era anche l’intreccio di Ladri di biciclette? Bazin diceva: «senza la crisi e la disoccupazione, la storia di Zavattini e De Sica non meriterebbe due righe nella cronaca locale.» Da parte sua, Gomes nota: «Resende è una città di 2000 abitanti ma è anche chiaramente il centro del mondo.» L’effetto della crisi fa del borgo una versione del mondo, da un lato asciuga le risorse economiche, dall’altro rende disponibile una risorsa narrativa infinita di storie tanto concrete tanto universali. Una è quella del sindacalista che si batte per poter conservare il tradizionale bagno al mare del 1 gennaio. Quel sindacalista è Gomes stesso.

In che senso ? Da un sindacalista si aspetta solo che si batta per il lavoro, il salario, i diritti. «Non certo per una festa popolare» gli fa notare, con buon senso alla Sancho Panza, la sua assistente punk. Da un regista ci si aspetta (oggi) che metta in scena una sceneggiatura a priori redditizia. Il sindacalista e il regista sono dunque simili perché il loro lavoro è ridotto a zero dalle aspettative del mercato. Come la strana lotta del sindacalista, la scommessa di Gomes è rivoluzionaria non perché afferma cose rivoluzionarie ma perché è intrinsecamente anti-sistema. Il cinema è infatti oggi dominato da due realismi. Da un lato quello di Hollywood che fa film fantastici senza fantasia. D’altro lato quello d’autore, cristallizzato nel rispecchiamento della realtà. Gomes è antitetico sia all’uno che all’altro. Il film non è il frutto di una sceneggiatura. Le mille e una notte è stato realizzato senza, scritto giorno per giorno, seguendo il desiderio e l’intuizione di un «comitato centrale» (con la complicità di Telmo Churro a incollare i pezzi al montaggio). Con un cast di attori e di non attori. Di fatto, è una pura utopia narrativa che non propone un’illusione ma un incanto. In questo senso, il cinema di Gomes è lotta politica. Così come la politica dovrebbe essere l’arte di inventare il mondo e non di subirne il fato, il cinema deve poter raccontare ciò che vuole come vuole.