Il pubblico, in piedi, applaude, reduce da una sinfonia emotiva che avvolge ancora la sala. Miguel Ferrari s’inchina, radioso. La sua opera prima, Azul y No Tan Rosa, in Spagna ha vinto la XXVIIIma edizione del Premio Goya il più importante riconoscimento cinematografico attribuito dall’Academia de las Artes y las Ciencias Cinematográficas al miglior film straniero in lingua spagnola. Già tradotto in molte lingue, il film sta ricevendo in tutto il mondo un’entusiastica accoglienza. L’ultima, di recente, in Giappone. Accanto al regista italo-venezuelano e alle rappresentanze diplomatiche della Repubblica bolivariana, c’è l’instancabile Gianfranco Zicarelli che, insieme a Jose Cantos, cura per l’Istituto Cervantes la Mostra di Cinema Iberoamericano.

Quest’anno, la rassegna si è intitolata Scoprir. Un titolo che ha invitato appunto a scoprire il potenziale artistico ed espressivo di nuove cinematografie. Il progetto, ideato tre anni fa, ha dato conto della visibilità raggiunta anche in Europa dal cinema latinoamericano. A Roma, gli spettatori della Città del Cinema hanno potuto usufruire di 10 prime visioni assolute, spicchi di mondo in cammino a margine delle grandi sale. Tra queste, Quinuera, del boliviano Ariel Soto, che racconta il piccolo miracolo economico compiuto dal socialismo indigenista di Evo Morales attraverso la rivalutazione di un cereale tradizionale, la quinoa. O ancora Amor crónico, pluripremiato film del cubano Jorge Perugorría sul viaggio della cantante cubano-statunitense Cucu Diamante durante il concerto Paz Sin Fronteras, efettuato all’Avana il 20 settembre 2009 per iniziativa del cantante colombiano Juanes.

Ben giocato fra dramma e commedia, Azul y No Tan Rosa presenta la storia di Diego, un affermato fotografo gay, prostrato dall’attacco omofobo che ha ridotto in fin di vita il suo compagno. Diego ha avuto un figlio da una relazione giovanile. Il ragazzo, ora adolescente, vive all’estero con la madre. Per un improrogabile impegno di lavoro, quest’ultima deve però mandarlo a Caracas dal padre. E per Diego, stretto tra l’angoscia per la sorte del suo compagno, la sete di vendetta nei confronti degli aggressori e l’ostilità del figlio, inizierà un periodo complicato. Intorno, una girandola di amici eccentrici o tradizionalisti, una famiglia che ascolta una trasmissione popolare, e il mondo dei ragazzi, in cui maturano improbabili incontri e quotidiane insicurezze. Una storia d’amore e suspence dai risvolti sociali, raccontata con poetica ironia. Le strade di Caracas o i paesaggi che accompagnano i protagonisti durante un viaggio a perdifiato nel paese, rimangono però volutamente sullo sfondo. Dice Ferrari al manifesto: “ Nel film emerge il tema dell’omosessualità, del transgender e della violenza contro le donne, ma tutti questi aspetti aprono a tematiche generali, a sentimenti percepibili oltre il genere e la lingua. Ho voluto fare un film sulle emozioni, narrando una storia dai tratti universali che potrebbe accadere ovunque”.

D. Azul è la sua prima prova da regista. Lei è un volto noto delle telenovelas venezuelane, e anche attore di cinema. Cosa l’ha spinta dietro la macchina da presa?

R. Ho sempre voluto interpretare un film sui sentimenti oscurati dal pregiudizio, ma non mi hanno mai proposto copioni che mi soddisfacessero. Così, proprio nel momento migliore della mia carriera di attore, ho deciso di andare a Madrid a studiare. Dopo tre anni, ho realizzato alcuni corti e poi ho voluto raccontare da me la storia che avrei voluto interpretare. So che la scrittura è un’arte complicata, ho però assunto comunque il rischio di scrivere la sceneggiatura. Ho curato molto i dialoghi cercando di costruire personaggi tridimensionali, credibili, in cui ci si potesse identificare. Scrivendo, leggevo al alta voce ogni passaggio, mettendomi dal punto di vista degli attori. Sentirli poi recitare il testo seguendo precisamente ogni parola è stata per me una gran soddisfazione.

D. Il dolore di Diego – il ritmo del film – è affidato a un crescendo di note e colori che trascinano lo spettatore, prima che il riso arrivi a stemperare la tragedia. Nella sua poetica c’è l’immancabile tocco almodovariano, ma anche una forte influenza del cinema italiano.

R. Il lato eccessivo di alcuni personaggi può indicare un debito al maestro Almodovar, ma io sono un adoratore del cinema italiano di Antonioni, del Tornatore di Nuovo Cinema Paradiso: un gran riferimento estetico e un’indicazione preziosa sul modo di connettersi e connettere le emozioni della gente, su come rappresentare le relazioni umane, su come far parlare e raccontare i silenzi e le pause. E poi io ho sangue italiano, la mia vita si è svolta tra Italia e Venezuela, e in seguito in Spagna. Sono anche un adoratore dell’estetica, mi piace l’arte plastica, studio minuziosamente la composizione dei quadri, soprattutto le opere rinascimentali. Cerco l’equilibrio tra immagine e musica affidando alla musica il tocco universale più profondo per mostrare il conflitto e trasmetterlo alle corde emotive. Qui ho messo in scena il conflitto di chi cerca di azzerare con la violenza la diversità perché non sopporta di riconoscerla dentro di sé. La perversione dev’essere curata, dicono i fascisti. Ma il malato è l’omofobo, non l’omosessuale. Chi deve andare in terapia è colui che cerca d’impedire una relazione d’amore consenziente fra due persone adulte, e interviene per dire: non potete amarvi. Il film mostra la straordinaria normalità della diversità.

D. L’America latina è ancora un continente omofobico e maschilista, anche se il movimento Lesbo-gay-bisex-trans è sempre più forte. In Venezuela, il diritto alla differenza è sancito nella Costituzione. La legge sul Matrimonio civile ugualitario è arrivata in Parlamento. Il presidente Nicolas Maduro ha ricevuto a Miraflores i rappresentanti Lgbt e ha sfilato con loro. Com’è stato accolto il film nel suo paese?

R. Molto bene. Come dicevo, il film consente un’identificazione a vasto spettro, parla con delicatezza anche alle famiglie, denuncia le responsabilità dell’informazione deformata. In America latina sono stati fatti molti passi avanti, ma si è ancora lontani dall’accettare il diritto alla libera scelta sessuale. E spesso le leggi sono più avanti della coscienza delle persone. Bisogna fare un lavoro capillare nelle scuole, l’educazione alla differenza deve cominciare dai bambini. Loro non nascono coi pregiudizi incorporati, sono gli adulti e la società a cui guardano a inculcarglieli.

D. Per la prima volta, il Goya è stato vinto da un film venezuelano. E’ un segno del momento felice che attraversa il cinema nel socialismo bolivariano?

R. Da noi, ci sono cose che funzionano male e possono essere migliorate, ma il Cenac, il centro nazionale autonomo di cinematografia è un gioiello, un modello per lo sviluppo dell’industria cinematografica nazionale, che produce nuovi talenti e idee innovative, giovani registi senza censure. Ci sono stati tanti passi avanti dall’epoca della IV Repubblica e non vorrei tornare indietro. Da uomo di sinistra, però, sono esigente e dico che possiamo e dobbiamo fare di più, avere una sinistra e una situazione migliore, ne abbiamo tutte le potenzialità. Sono critico, ma in modo costruttivo.