Un cadavere giace sul pavimento del centro dell’impiego, immobile tra i passi veloci degli impiegati che timbrano il cartellino a fine turno e degli inservienti che puliscono l’ufficio. Il corpo senza vita in questione è quello di Victor, ma non stiamo sfogliando un giallo, né un romanzo noir. Victor, il protagonista di “Quello che (mi) sta succedendo”, primo romanzo grafico di Miguel Brieva, è un trentaduenne disoccupato e quello dell’incipit è il sogno che racconta al lettore e a Milagros, la psicologa del centro, che lo invita a scrivere un diario a mo’ di sfogo e autoanalisi. Certo, si tratta di un espediente narrativo classico posto però a servizio di una sorprendente storia per immagini. Perché il diario è puntuale e narra pedissequamente il niente quotidiano che assedia l’esistenza di Victor, gli incontri e le avventure del suo gruppo di amici imperditori (ironico gioco di parole con imprenditori, perfettamente reso dalla traduttrice , Francesca Bianchi): tutti disoccupati e per questo perdenti, si trovano al parco e intraprendono forme di resistenza al sistema che li ha progressivamente confinati, licenziandoli, escludendoli dal mercato del lavoro e costringendoli a una vita in apparenza vuota.

Così, nella vicina Spagna, la critica al sistema capitalistico e consumista entra nei fumetti dalle mani di Miguel Brieva, autore sivigliano e madrileno di adozione e arriva ai lettori italiani grazie a Eris Edizioni, che lo presenta in anteprima questo fine settimana al Treviso Comic Book Festival. Brieva ha 36 anni e importanti pubblicazioni all’attivo quando, nel maggio del 2011, a Madrid e Barcelona scoppiano le proteste degli indignados che danno al popolo spagnolo l’opportunità di riflettere sulle responsabilità della crisi economica. Brieva però di crisi, capitalismo e ecologia si occupa da sempre, sia nelle prime fanzine autoprodotte, che nelle numerose testate con cui collabora, prima tra tutte la rivista satirica El Jueves. Il suo stile e quello che racconta risultano così contundenti che il prestigioso marchio Reservoir books di Random House Mondadori, intuito il suo talento e le sue potenzialità commerciali, provvede a raccogliere le sue vignette e storie brevi nei volumi Dinero (2008), El otro mundo (2009) e Memorias de la tierra(2012).

Nelle strisce e nelle freddure illustrate di Brieva, infatti, vivono la preoccupazione per il mondo contemporaneo e uno scetticismo tagliente rivolto al benessere occidentale, espressi attraverso una critica affilata e intelligentemente umoristica; a rincarare il dissenso del messaggio, una grafica pop che strizza l’occhio all’immaginario pubblicitario americano degli anni ’50, accuratamente riprodotta proprio per distanziarsi dagli effetti di quel welfare tanto celebrato quanto fragile e fasullo. Brieva individua i grandi mali del nostro tempo -iperproduzione capitalista, controllo mediatico, finanziarizzazione dell’economia e sfruttamento scellerato delle risorse naturali- e li condensa abilmente nel suo primo intensissimo romanzo. Poi si spinge un passo più avanti, problematizzandone le responsabilità, scongiurando l’atteggiamento che ci porta normalmente a dare la colpa “al sistema”. In Quello che (mi) sta succedendo, il titolo punta già a una collettivizzazione del problema: quello che succede nel mondo, sembra dire quella parentesi, influisce direttamente sulla mia individualità.«Non solo sulle cose piccole- spiega l’autore che abbiamo raggiunto al telefono- ma su tutto ciò che è nella nostra interiorità. Solo una ridefinizione di ciò che chiamiamo individuale o collettivo, chiaramente a favore del secondo termine, può disintossicarci da questa visione fantasiosa dell’individualità e guidarci verso un nuovo modello di convivenza».

Un cambio di prospettiva che nella narrazione si insinua come allucinazione e sogno, stati privilegiati dell’immaginazione di Victor, che sembra trovare in quella dimensione l’antidoto per continuare a vivere in questa. «Ho la sensazione-dice ancora l’autore- che né la scienza né la tecnologia ci possano salvare da questa situazione apocalittica, ne tantomeno che possa farlo la religione, che oggi intendiamo in senso troppo ristretto. Potrebbe riuscirci solo l’immaginazione, ovvero la capacità di ampliare gli orizzonti della nostra coscienza di ciò che è concepibile e che per tanto, può succedere. Il libro vuole essere una metafora di questo pensiero: solo attraverso un uso corretto e coraggioso della nostra immaginazione possiamo capire cosa realmente stia succedendo e cosa potrebbe succedere se ci comportassimo diversamente, se volessimo davvero cambiare qualcosa. In un mondo demente, forse la cosa più sana da fare è diventare pazzi».

In quest’ auspicabile rivoluzione del pensiero, l’attenzione al passato è fondamentale, come se fosse impossibile cambiare il presente senza tenere conto della Storia: nel libro sono molti gli accenni alla necessità di confrontarsi con un passato dal quale la corsa al progresso e lo sviluppo di tecnologie ultraraffinate, soprattutto nel campo della comunicazione, ci hanno allontanato. Di nuovo l’esperienza collettiva, il nostro vissuto comunitario sono fondamentali per la presa di coscienza su quello che sta succedendo.«Dovrebbe essere fondamentale guardarsi indietro-aggiunge l’autore al riguardo- ma l’essere umano si trova intrappolato in un’inerzia funesta, condannato all’oblio, generazione dopo generazione. È come se, avidi di sapere e conoscenza, fossimo obbligati per sempre a frequentare il primo giorno di scuola, senza riuscire mai ad accumulare o accrescere ciò che abbiamo appreso».

Oltre al coraggio della denuncia affrancata dall’etichetta “di realtà”, quello che colpisce in Brieva è la quantità d’informazione che riesce a convogliare nella storia. Non si tratta solo di una densità grafica, che rende tributo con la stessa disinvoltura ad autori tanto diversi come Moebius o Robert Crumb, ma anche di una marcata ricchezza testuale: il diario di Victor, i fitti dialoghi tra i numerosi personaggi del testo, gli annunci in megafonia, e «quell’immaginario pubblicitario che ricopre tutto il pianeta e l’interno delle nostre menti come una crosta appiccicosa al sapore di fragola», come l’autore stesso lo definisce, fanno del libro un ‘esperienza di lettura totale. Brieva alterna concetti complessi con ironici giochi di parole e neologismi, spazia a suo piacimento tra registri verbali molti distanti tra loro e , quasi a rimarcare l’importanza del linguaggio nella nostra concezione del reale, afferma «Il linguaggio è il veicolo del pensiero. Se permettiamo che ce lo tolgano, che lo riformulino o lo svalorizzino, aspettiamoci che questo abbia effetti diretti sulla nostra capacità di riflessione e di creazione. Se ci accontentiamo di scrivere brevi messaggi di testo sul cellulare, anche la nostra mente diventerà breve e sintetica, senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Oppure possiamo provare a strappar via certe parole al potere, parole che sono state sottomesse e denaturalizzate come libertà e democrazia. Questo per esempio è quello che stanno cercando di fare i movimenti politici sorti in Spagna dopo il 15M.»

Ci sono tutti gli elementi per presentarsi al pubblico italiano come un autore completo e complesso, attuale e godibile, che non perde l’occasione per ribadire il ruolo della creazione artistica nella rappresentazione del nostro mondo: «Nelle prossime decadi ci troveremo ad affrontare una battaglia di dimensioni colossali e francamente non credo che una creazione nichilista o puramente formale possa contribuire a migliorare questo scenario. Il ruolo del fumetto dovrà essere quello di qualsiasi altro mezzo: cambiare il nostro immaginario perché diversamente da quanto accade oggi, si passi a considerare prima la distruzione del capitalismo, che quella del nostro mondo”.|