«La crisi dei rifugiati ha portato a un notevole aumento dei flussi di immigrazione verso la Germania, l’Italia e l’Austria, ma l’impatto sulla forza lavoro finora è rimasto limitato». Lo sostiene l’ultimo bollettino mensile della Bce. «Nei maggiori paesi dell’area dell’euro – si legge – gli immigrati hanno un’età media inferiore e un livello di istruzione medio lievemente inferiore rispetto ai cittadini dei paesi ospiti». «In tali paesi la quota di cittadini stranieri in età lavorativa (dai 15 e i 64 anni) è più ampia di quella dei cittadini dei paesi stessi. Questo suggerisce che l’aumento del numero di lavoratori più anziani all’interno della popolazione in età lavorativa sarebbe stato ancor più pronunciato senza i recenti flussi migratori».

Nella visione capitalistica della mobilità umana questa tesi della Bce contrasta con un certo senso comune razzista sull’immigrazione. Sullo sfondo resta una curiosa ricostruzione della «riforma» Fornero che ha allungato l’età pensionabile obbligando tra l’altro i lavoratori maturi a restare in attività, non diversamente da quanto sta avvenendo anche in Francia o in Germania, paesi citati dalla Bce. Anche qui sale in modo molto significativo il numero degli occupati over 55 anni, non solo per l’innalzamento delle aspettative di vita, ma anche per le riforme delle pensioni. Questa è la principale causa della «costante tendenza al rialzo» dell’occupazione che nella lingua della Bce viene descritto come «rialzo sui tassi di partecipazione della popolazione in età avanzata». La Bce si dice preoccupata per gli effetti della riforma fiscale Usa che «rischia di intensificare la competizione fiscale a livello globale, comportando una possibile erosione delle basi imponibili nei Paesi dell’Ue». L’Eurozona che risentirà dei «cambiamenti nel panorama fiscale internazionale, le cui conseguenze sono altamente incerte e complesse».