Federica Mogherini a New York spera di ottenere una risoluzione del Consiglio di sicurezza per combattere i trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo, ormai il passaggio più pericoloso al mondo per i migranti (1727 morti dall’inizio 2015 secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni). La Ue il 23 aprile scorso si era accordata per dare mandato a Mogherini di ottenere le basi giuridiche internazionali per una missione militare per “catturare e distruggere le imbarcazioni prima che vengano utilizzate” dai trafficanti in Libia, “nel rispetto del diritto internazionale”, iniziativa “per salvare vite” nella versione di Mrs Pesc. La risoluzione Onu è necessaria perché la missione militare presuppone di entrare nelle acque territoriali libiche e bloccare imbarcazioni con bandiera straniera (extra Ue), azioni contrarie al diritto del mare. Ma molto difficilmente la Ue otterrà dall’Onu un via libera per una missione di distruzione delle navi, un’avventura vista la situazione in Libia, aggravata dall’attacco di ieri a una nave turca: la Russia è contraria ad operazioni-commando e potrebbe al massimo accettare operazioni limitate al blocco e al sequestro delle navi dei trafficanti. La Cina deve essere ancora convinta. Il voto all’Onu non avrà luogo prima del Consiglio Esteri della Ue del 18 maggio, ma Bruxelles spera in una risposta per il Consiglio europeo del 25 e 26 giugno.

Intanto, mentre la Ue cerca una sponda di legalità internazionale, al suo interno permangono forti divisioni su come spartirsi il “fardello” dei migranti. Per il momento, gli europei hanno intensificato lo scambio di informazioni sulle reti di trafficanti, ottenute dalla sorveglianza aerea e dai radar. Mercoledi’, la Commissione presenterà un “piano” d’azione sull’immigrazione. Ma il presidente Jean-Claude Juncker ha già contro la sua parte politica (partito popolare), vari governi e molti commissari. Juncker aveva già incassato due sconfitte al vertice del 23 aprile: “la mia proposta sull’immigrazione legale non è stata accettata”, aveva ammesso alla conclusione dell’incontro, e “non abbiamo nessun mandato di reinsediamento”. Cioè, è stata respinta la proposta di creare un quadro legislativo europeo per le politiche di immigrazione, che si fanno a livello nazionale: per il Ppe è fuori questione confondere in questo momento rifugiati e immigrazione economica. Né ha fatto passi avanti il progetto di creare un regime di asilo comune in Europa, in discussione dal ’99. Anche il principio di solidarietà nell’emergenza attuale è stato rifiutato. Mercoledi’, Juncker farà ricorso all’articolo 78 comma 3 del Trattato di Lisbona, che prevede “misure temporanee” per far fronte a situazioni di emergenza, con un sistema di “quote” stabilite in base al pil, alla situazione dell’occupazione, al numero di rifugiati già accolti. Juncker spera nell’approvazione di “corsie preferenziali” per l’accoglienza temporanea di richiedenti asilo, con voto a maggioranza qualificata (e non all’unanimità). “Gli stati della Ue devono mostrare la loro solidarietà e raddoppiare gli sforzi per aiutare i paesi della linea del fronte” dice la bozza del progetto di Juncker, con riferimento a Italia, Grecia, Malta, Spagna. Ma l’opposizione è forte e già 12 paesi rifiutano di contribuire al finanziamento di Triton, che è stato triplicato. Il carattere obbligatorio dell’accoglienza è un casus belli e dovrebbe restare “su base volontaria”. Per il primo ministro ungherese, Viktor Orban è semplicemente “un’idea folle”. Difficile sarà anche mettere nero su bianco delle cifre: l’Alto commissariato ai rifugiati dell’Onu chiede alla Ue di accogliere 20mila profughi l’anno, ma al Consiglio del 23 aprile non è passata la cifra di 10mila (e una proposta di fermarsi a 5mila non è stata messa nel comunicato per vergogna, vista ma sproporzione con la realtà dei fatti, nell’ultimo anno in Italia sono sbarcate più di 100mila persone e le previsioni Ue sono di 200mila richieste d’asilo). La Germania accetterebbe una mini-riforma di Dublino II, sulla redistribuzione dei richiedenti asilo (già la Finlandia, con la Norvegia, che non è nella Ue, non rimandano più i migranti in Grecia, quando questo è il primo paese di sbarco, perché ritengono che non siano ben trattati). “Sei paesi, Germania, Gran Bretagna, Francia, Svezia, Italia e Belgio – ha riassunto l’ex primo ministro belga Guy Verhofstadt – si fanno carico dell’80% delle domande d’asilo nella Ue, 15 paesi accettano di accogliere rifugiati e 13 non fanno niente, non assumono nessuna responsabilità”. Il rimprovero riguarda in particolare i paesi dell’Europa dell’est, a cominciare dalla Polonia. David Cameron ha annunciato prima della vittoria elettorale che la Gran Bretagna non accetterà nuovi arrivi.

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