Archiviato il caso Tarajal. Cinque anni e mezzo fa, quindici migranti morirono in una fredda mattina nelle acque antistanti l’enclave spagnola in Marocco di Ceuta sotto i colpi di pallottole di gomma e bombole di fumo lanciati dalla Guardia Civil per “difendere le frontiere spagnole”. I migranti cercavano disperatamente di raggiungere il lato spagnolo, dopo che la polizia marocchina e quella spagnola avevano cercato invano di fermare il gruppo di mezzo migliaio di persone che stavano tentando di superare una delle frontiere dove la sperequazione economica è fra le più alte al mondo.

Ma per la giustizia spagnola non è colpa di nessuno, almeno per ora: i 15 poliziotti indagati possono tirare un sospiro di sollievo. L’indagine portata avanti dalla magistrata María de la Luz Lozano si è arenata davanti a una formalità chiamata “Dottrina Botín”. In sostanza, si tratta di questo. Nel 2007 il famoso banchiere Emilio Botín (proprietario del colosso Santander) riuscì a sfuggire dall’accusa di evasione fiscale grazie al fatto che l’accusa era portata avanti solo da una ong (accusa popolare) e né la Pubblica Accusa (la Fiscalía), né le parti civili avevano chiesto la condanna dell’accusato. In sostanza, disse l’Audiencia Nacional (successivamente corroborata dal Tribunale Supremo), non si può neppure rinviare a giudizio un imputato se l’accusa non viene portata avanti da almeno una delle parti che abbia un interesse giudiziario diretto nella causa.

La stessa situazione si è venuta a creare anche per questo caso: la Fiscalía aveva ripetutamente chiesto l’archiviazione, così come evidentemente le accuse dei militari, e i familiari delle vittime non sono stati ammessi al processo. Si tratta della terza archiviazione per questa causa, nonostante la stessa giudice a settembre avesse riscontrato che gli agenti poterono “contribuire, co-causalmente o per imprudenza, alla morte per affogamento” dei migranti e che avrebbero potuto intervenire per aiutarli ma si astennero dal farlo, “senza motivo che giustifichi questa omissione”. La stessa magistrata, che ha motivato l’archiviazione come “atto dovuto” data la vigenza della Dottrina Botín, ci tiene a sottolineare che esistono “indizi di delitto”.

Le tre associazioni che esercitano l’accusa in questo caso, tra cui la Commissione spagnola per l’aiuto al rifugiato (Cear), hanno già espresso l’intenzione di fare ricorso presso l’Audiencia Provincial di Cadice, che aveva già riaperto la causa due volte. Hanno cinque giorni per farlo. I familiari delle vittime hanno già cercato varie volte di essere ammessi come parte civile nel procedimento, ma finora i loro tentativi (l’ultimo il 24 ottobre) sono sempre stati respinti. Anche quest’ultima decisione verrà impugnata all’Audiencia di Cadice. Le famiglie “hanno reso esplicito in numerosi e diversi modi” la propria intenzione di prendere parte al processo, spiegano le ong, “e questo interesse delle parti lese in maniera esplicita consta nella causa e pertanto non è possibile archiviarla”, secondo l’avvocata Patricia Fernández, che rappresenta l’accusa popolare.