Le parole felpate della diplomazia non hanno potuto nascondere l’attacco al cuore del diritto internazionale. Un progetto tutto italiano, apparso nei documenti ufficiali – che il manifesto ha potuto consultare – infilato nella formula del «bilanciamento di esigenze diverse», vite umane e «sicurezza dei confini».

La sede è quella dell’Imo, l’agenzia Onu che si occupa dei trattati internazionali sulla navigazione. Il tema è l’attività di ricerca e salvataggio nel tratto di mare che divide l’Italia dalla Libia, il Mediterraneo centrale. Un linguaggio burocratico che riempie tre pagine di un documento ufficiale, presentato dagli ufficiali del Comando generale della Guardia costiera all’agenzia delle Nazioni unite lo scorso gennaio, con una indicazione chiara: servono nuovi trattati per il mare, bilanciando le esigenze umanitarie con «la protezione delle frontiere contro il flusso di migranti clandestini e di terroristi». Per la prima volta viene introdotta l’ipotesi di una modifica delle convenzioni internazionali sui salvataggi, carte fondamentali che garantiscono l’insieme di regole a tutela dei naufraghi. Con un principio cardine: l’operazione di salvataggio si conclude solo quando le persone strappate dalle acque arrivano in un luogo sicuro, il Place of Safety. Non un porto qualsiasi, ma un punto di sbarco dove i diritti fondamentali siano rispettati; nel caso dei migranti questo vuol dire l’esclusione della Libia, paese che non ha mai firmato – come è noto – la convezione di Ginevra.

Fino ad oggi il corpus di questi trattati (Solas, Unclos e Sar, tutti citati nel documento prodotto dall’Italia) ha garantito una barriera, almeno giuridica, al piano dell’attuale governo di respingere in Libia chi fugge dalle guerre e dalle torture. Norme internazionali richiamate nei mesi scorsi più volte dalla magistratura, sia nel caso del sequestro della Open Arms – poi rilasciata proprio perché l’equipaggio aveva rispettato quei trattati – che nell’atto di accusa del Tribunale dei ministri di Catania contro Matteo Salvini per il caso Diciotti. La dichiarazione di una volontà di modificare i trattati internazionali è probabilmente nata da un mandato politico preciso, affidato alle Capitanerie di Porto. Il documento – attribuito dall’Imo alle autorità italiane – riporta le conclusioni della conferenza di Roma dell’11 ottobre scorso, dove si è discusso del coordinamento Sar (Search and Rescue) libico e delle operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale. All’incontro erano presenti le autorità delle Guardie costiere di gran parte dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, Libia inclusa. Non c’erano però solo tecnici: come osservatori hanno partecipato «i ministeri italiani competenti», oltre a Frontex, all’Unhcr e ai rappresentanti delle ambasciate di Germania, dei Paesi Bassi e della Francia.

Nella documentazione ufficiale pubblicata dall’Imo non sono indicati i nomi dei rappresentanti ministeriali italiani, ma dal dicastero dei Trasporti fanno sapere che alla conferenza erano presenti rappresentanti del Viminale e degli Esteri, senza però fornire nomi o ruoli. L’agenzia Onu, contattata da il manifesto, spiega a sua volta di non essere in possesso della lista dei partecipanti; nessuna risposta è arrivata dal comando generale della Guardia costiera.
Le conclusioni della conferenza hanno confermato l’aiuto attivo del governo alla Guardia costiera libica: «L’Italia e l’Unione europea – si legge nel documento – continueranno a supportare le istituzioni marittime della Libia nello sviluppo della loro zona Sar».

La funzionalità del coordinamento di Tripoli è stato messo in dubbio dalle Ong che ancora operano nel Mediterraneo centrale, denunciando più volte la mancata risposta da parte della Guardia costiera libica. La stessa agenzia Onu ha sottolineato la gravità dell’attuale situazione: «Il Segretariato osserva con preoccupazione i recenti sviluppi sulle questioni umanitarie che circondano la Libia», si legge in un comunicato dei giorni scorsi. «Non siamo però nelle condizioni di verificare la situazione all’interno di tale paese», ha aggiunto l’Imo rispondendo ad una richiesta di informazioni sullo stato delle attività di soccorso da parte di Tripoli. Nessuno, in altre parole, controlla l’operato dei libici.