Almeno dodici migranti hanno perso la vita ieri in un naufragio avvenuto nel mar Egeo. Il gommone, con a bordo almeno una quarantina di persone, era partito dalla Turchia e cercava di raggiungere la Grecia quando, per cause ancora da accertare, è affondato. Sul posto è intervenuta la Guardia costiera turca con un elicottero, due navi e una squadra di sommozzatori e ha tratto in salvo 31 persone.

Non si arresta il flusso di migranti che cerca di lasciare la Turchia. Secondo il ministero dell’Interno di Ankara solo nel mese di maggio sono stati 27.536 quelli fermati dalle autorità del Paese mente cercavano di raggiungere l’Europa, tutti provenienti da Medio Oriente, Africa e Asia. La maggior parte entra nel Paese attraverso i confini orientale e meridionale.

Intanto non trova ancora una soluzione la vicenda dei 43 migranti che da sei giorni si trovano a bordo della Sea Watch 3. Anche ieri la nave ha continuato a tenersi in acque internazionali a sud dell’isola di Lampedusa navigando avanti e indietro. Dopo che donne incinte, bambini e malati sono stati fatti sbarcare, adesso si aspetta che la situazione si sblocchi. Dopo la diffida del ministro dell’Interno Matteo Salvini e l’entrata in vigore del decreto sicurezza bis, alla nave è vietato entrare in acque italiane, pena una multa compresa tra i 10 mila e i 50 mila euro. Da nessun Paese che affaccia sul Mediterraneo, però, arriva l’indicazione di un porto sicuro alternativo a Tripoli, provocatoriamente offerto nei giorni scorsi dalla Libia al solo scopo di mettere in difficoltà l’ong tedesca. Vista la situazione di guerra civile esistente da mesi nel Paese nordafricano la Libia non è infatti un Paese sicuro neanche per i libici, figuriamoci per i migranti. Un concetto che la Commissione europea ha voluto ribadire per l’ennesima volta anche ieri.

A bordo della Sea Watch 3 Herman, uno dei migranti tratti in salvo, si è rivolto al ministro dell’Interno tedesco Horst Seehofer: «Per favore pensi alle vite che stiamo conducendo», ha detto in un video girato dalla ong. «Non è umano lasciare le persone morire in mare. Coloro che ci aiutano, coloro che ci salvano, non sono criminali: salvano le nostre vite. Siamo tutti figli dello steso Dio, dovremmo vivere insieme come amici, come fratelli. Dovremmo vivere le nostre vite come voi. Anche noi abbiamo diritto alla libertà come tutti gli altri». Per concludere ribadendo quanto affermato più volte dai migranti: «Piuttosto che tornare in Libia, preferirei morire. Preferirei dare la mia vita ai pesci piuttosto che essere nuovamente torturato».

La politica dei porti chiusi non ferma però gli sbarchi, checché ne dica Salvini. Come provano i migranti arrivati la notte scorsa sulla spiaggia di Porto Pino, nel comune di Sant’Anna Arresi (Cagliari). I carabinieri ne hanno intercettato sei, tutti algerini, mentre tentavano di allontanarsi. Sono stati trasferiti nel centro di accoglienza di Monastir. Al largo di Capo Colonna (Crotone), invece, 20 curdi sono stati soccorsi dalla guardia di finanza su una barca a vela partita presumibilmente dalla Turchia e portati nel centro di Isola Capo Rizzuto.