È il Mediterraneo a conquistare il poco gratificante titolo di rotta della morte, il tragitto più pericoloso al mondo percorso dai migranti. Delle quasi 4.300 persone che quest’anno hanno perso la vita nella speranza di salvarsi da guerre, fame e persecuzioni, almeno 3.419 sono morte proprio nel tratto di mare compreso tra l’Africa e le coste italiane e l’80% di queste sono salpate dalla Libia. A fornire questo drammatici dati è stato ieri l’Unhcr, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati che ha anche esortato i governi a impegnarsi maggiormente nel salvataggio delle vite umane.
Ormai quello delle migrazioni forzate e non legate solo a motivi economici è un fenomeno sempre più globale e che riguarda un numero sempre maggiore si persone. E il 2014 si conferma in questo senso come un anno record. Sempre secondo l’Unhcr dal primo gennaio oltre 348.000 persone in tutto il mondo hanno attraversato il mare in cerca di asilo, la maggior parte delle quali ha avuto come destinazione l’Europa. Una scelta obbligata se si considera che i vecchio continente è circondato da alcuni dei principali conflitti in corso: quello libico a sud, in Ucraina a est e la guerra in Siria e Iraq a sud-est. E proprio dall’altra sponda del Mediterraneo arriva il maggior numero di profughi, che secondo le cifre fornite dalle autorità costiere e stando ai monitoraggi eseguiti, si calcola siano stati 207.000, «quasi tre volte in più – scrive l’Unhcr – rispetto al precedente picco di di circa 70.000 persone nel 2011, quando la guerra civile libica era in pieno svolgimento». Tre anni dopo si fugge da un altro conflitto, quello in corso in Siria e da una dittatura come quella eritrea, come dimostra anche il fatto che il 50% di quanti hanno fatto richiesta di asilo politico nel 2014 sono proprio siriani ed eritrei.
Il Mediterraneo non è però l’unica via di fuga. Ci sono altre tre rotte marittime percorse dai migranti a seconda dei luoghi di partenza: nella regione del Corno d’Africa l’Unhcr calcola che siano state 82.680 le persone che da gennaio alla fine di novembre anno attraversato il Golfo di Aden e il Mar Rosso (242 le persone morte nel tentativo) seguendo al rotta che dall’Etiopia e dalla Somalia conduce in Yemen e poi nei paesi del Golfo Persico. 54.000 sono invece le persone in fuga da Bangladesh e Myanmar dirette verso la Thailandia, la Malesia o l’Indonesia (450 delle quali sono morte) . 4.475, infine, quelle partire dai Caraibi (71 decessi).
Chi non ce la fa è vittima molto spesso delle organizzazioni criminali che organizzano i viaggi, oppure della difficoltà incontrate nel corso di viaggi che spesso durano mesi o addirittura anni e duranti i quali i migranti sono speso vittime di violenze. Ma è innegabile che anche le politiche migratorie dei Paesi che dovrebbero accoglierli non sono prive di responsabilità visto che si tratta di politiche che, come denunciato dall’Unhcr, «spesso si preoccupano più di tenere lontani gli stranieri piuttosto che di garantire il diritto di asilo». Un errore per Antonio Guterres, Alto commissario per i rifugiati, che parla di una «reazione sbagliata in un’epoca in cui il numero di persone in fuga dalle guerre ha raggiunto livelli record». Da qui l’appello ai governi a rivedere i propri interventi in materia. «La sicurezza e la gestione dell’immigrazione sono preoccupazioni per ogni paese – ha concluso Guterres – ma le politiche devono essere progettate in modo che le vite umane non finiscano col diventare danni collaterali».