Per ora si tratta solo di un parere, per quanto importante, ma se in futuro dovesse trasformarsi in una sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue le conseguenze che ne deriverebbero potrebbero stravolgere le politiche europee sull’immigrazione, adottate anche dopo che, nel 2015, centinaia di migliaia di migranti cominciarono ad arrivare in Europa. Secondo infatti Eleanor Sharpston, avvocato generale presso la Corte di Giustiza dell’Ue, di fronte a circostanze «assolutamente eccezionali» – come furono appunto quelle che si presentarono due anni e mezzo fa con l’arrivo in Grecia attraverso l’Egeo di un numero enorme di uomini, donne e bambini – non si deve applicare il regolamento di Dublino evitando così che sia il Paese di primo ingresso a farsi carico dei migranti e consentendo invece loro il transito verso lo Stato dell’Unione nel quale poi presentano richiesta di asilo. Se la Corte dovesse sposare l’interpretazione data dalla Sharpston alle regole comunitarie, uno dei capisaldi della politica europea sull’asilo verrebbe letteralmente rivoluzionato e con lui anche l’intero sistema adottato finora da Bruxelles per governare la crisi dei migranti. Una notizia di fronte alla quale Christopher Hein del Cir, il Consiglio italiano per i rifugiati, preferisce per il momento far prevalere la prudenza: «Sarà difficile che la Corte segua questa strada – dice – perché il dibattito in Europa su come comportarsi di fronte alle grandi emergenze non si è mai concluso. Certo se fosse così cambierebbe davvero tutto, specie per l’Italia».

Il caso nasce dai ricorsi presentati alla Corte di Lussemburgo da Austria e Slovenia e riguardanti le richieste di protezione internazionale avanzate ai due paesi da un cittadino siriano, A. S., e da due famiglie afghane. Tutte persone che hanno raggiunto rispettivamente Lubiana e Vienna dopo aver attraversato Siria, Turchia e il mar Egeo e, percorrendo la rotta balcanica, dopo aver attraversato la Croazia.

Nel ricorso alla Corte, Austria e Slovenia affermano – sulla base di quanto stabilito dal regolamento di Dublino III -, di non essere loro a doversi occupare delle richieste d’asilo presentate dai profughi, visto che questi avrebbero varcato illegalmente i confini esterni dell’Ue.

Tesi contrastata dall’avvocato generale della Corte di Giustizia. Nel chiedere il respingimento dei ricorsi, Sharpston sottolinea infatti come le regole di Dublino III non siano state pensate per fronteggiare emergenze come quella avuta nel 2015, ma soprattutto come siano stati proprio gli Stati membri a un certo punto della crisi, ad autorizzare i migranti ad attraversare i propri territori consentendogli così di raggiungere il Nord Europa. «Le parole ’attraversamento clandestino’ di cui al regolamento Dublino III – ha sostenuto Sharpston – non sono applicabili a situazioni in cui, a seguito di un afflusso massiccio di cittadini da Paesi terzi che chiedono protezione internazionale all’interno dell’Unione europea, gli Stati membri consentano ai cittadini di Paesi terzi di attraversare la frontiera esterna dell’Unione europea per presentare una domanda di protezione internazionale in un determinato Stato membro».

Se i giudici dovessero condividere il ragionamento dell’avvocato generale, questo non significherebbe certo che dal giorno successivo alla sentenza per i migranti si riaprirebbero le frontiere interne all’Europa Anzi, il rischio è proprio di vedere sorgere nuove barriere in aggiunta a quelle già esistenti, a partire proprio dai confini che l’Italia condivide con Francia, Svizzera e Austria (al Brennero Vienna ha già tutto pronto, deve solo montare la recinzione). Le conseguenze però ci sarebbero, e sarebbero importanti. Gli Stati membri infatti non potrebbero più appellarsi al regolamento di Dublino per respingere verso l’Italia quei migranti entrati neii loro territorio in passato. Anche per questi casi, infatti, a far testo sarebbe la sentenza, impossibile da ignorare per i vari tribunali visto che le decisioni della Corte di Giustizia dell’Ue diventano automaticamente legge per tutti gli Stati membri. Il primo paese a trarne vantaggio sarebbe proprio l’Italia che nel solo 2016, secondo i dati del ministero degli Interni, ha riammesso 23.165 migranti da Austria, Francia e Svizzera. Una pratica che adesso potrebbe avere i giorni contati.