Emigrano, emigriamo. Certo non basta per imparare a mettersi nei panni di chi più soffre e fatica a stare al mondo, ma è un fatto che anche gli italiani ormai stanno facendo le valigie per sperimentare una vita altrove.

Anche gli stranieri stanno abbandonando l’Italia e sempre meno scelgono questo paese malato per progettarsi un futuro. Il racconto di questa piccola fuga è solo uno dei tanti dati significativi che rendono prezioso il rapporto annuale sulle migrazioni pubblicato dalla Fondazione Ismu. Per questo, per una volta, cominciamo dai migranti nostrani. Nel 2012 hanno lasciato l’Italia 68 mila persone (erano 50 mila nel 2011 e 40 mila nel 2010). Le regioni più interessate dal nuovo fenomeno migratorio sono il Molise (+147%), la Campania (+137%), la Basilicata (+129%), la Puglia (+120%) e la Sicilia (+96%). Anche se in termini assoluti, dal 2007 ad oggi, è la Lombardia la regione con più italiani emigrati all’estero: erano meno di 4 mila nel 2002, sono saliti a 8 mila nel 2010, hanno toccato quota 14 mila nel 2012. Mete privilegiate: Germania, Svizzera, Regno Unito e Francia.

Quei quasi 5 milioni di stranieri che vivono stabilmente in Italia (4 milioni 900 mila) sono sempre più integrati ma sempre più in difficoltà, perché la crisi morde tutti i cittadini ma colpisce duramente soprattutto i più poveri. Ci sarebbe un aumento del 6% (275 mila unità), ma è dovuto a fattori interni che non dipendono dalla mobilità: le seconde generazioni, 80 mila nascite e 72 mila stranieri che non erano stati censiti l’anno precedente. In realtà i nuovi permessi di soggiorno per lavoro sono stati solo 67 mila nel 2012, quasi la metà rispetto al 2011 e meno di un quinto rispetto al 2010. Infine, nel 2011 circa 200 mila stranieri avevano lasciato l’Italia e si stima che altrettanti l’abbiano fatto l’anno successivo.

Secondo l’Ismu, questo progressivo rallentamento di crescita della popolazione straniera sarà una costante anche nei prossimi anni. Il tasso medio annuo dovrebbe ridursi dall’attuale 7% (2011-2014) all’1,3% circa tra venticinque anni (2030-2034). Significa che nel 2020 gli immigrati residenti in Italia saranno più di 7 milioni, quasi 10 nel 2035. Dovrebbe cambiare significativamente anche la composizione delle nazionalità presenti, anche se questo dato potrà essere sovvertito da alcuni eventi di portata storica oggi non prevedibili: i rumeni scenderanno dal 21% del 2011 al 15,8% nel 2035, mentre si rafforzeranno le presenze dal Marocco (dal 9,9% al 12,5%) e dall’India (dal 2,6% al 5,2%). Inoltre, tanto per tranquillizzare i catastrofisti in malafede, per non dire peggio, non ci sarà alcuna invasione di rifugiati verso l’Italia, ragione di più per gridare allo scandalo per le migliaia di morti nel canale di Sicilia: l’Europa accoglie il 17% dei rifugiati mondiali (10,5 milioni), l’Italia ne ospita 65 mila (7 mila in più rispetto al 2011, la Germania è prima con 590 mila rifugiati, la Francia 218 mila e il Regno Unito 150 mila).

La vera ineludibile questione, per tutti e per gli immigrati in particolare, si chiama lavoro. Anche per gli stranieri la disoccupazione è in aumento: ci sono più occupati nel 2012 rispetto al 2011, ma l’aumento è dimezzato rispetto agli anni precedenti. Gli occupati stranieri sono 2 milioni 344 mila, quindi 82 mila in più in un anno, ma solo grazie all’incremento dell’occupazione femminile che si attesta all’8% (le donne lavorano prevalentemente nell’assistenza familiare, incrementando il fenomeno della “segregazione” lavorativa). Ma in generale, la disoccupazione cresce perché è cresciuto il numero di stranieri disponibili al lavoro: nel primo semestre del 2013 i senza lavoro stranieri sono 511 mila, erano 380 mila nel 2012 (tasso di disoccupazione al 18%). Nelle province del nord si concentra più del 60% della disoccupazione straniera (un disoccupato su quattro), ma è nelle regioni del sud che si è verificato il tracollo: il tasso di disoccupazione è pari al 43,6%, e altrettanto drammatico è quel 30% che riguarda gli italiani. Il calo più drastico si è verificato nell’industria e nell’edilizia. Se il mercato del lavoro è saturo, l’Ismu sottolinea comunque la necessità di “puntare su meccanismi di inclusione lavorativa, sociale e fiscale degli immigrati, a beneficio della collettività intera”, come servizi mirati a favorire l’incontro tra domanda e offerta.

Altri capitoli del rapporto dicono che la situazione forse è già precipitata. Per tutti. L’11,2% degli stranieri nel 2012 ha dichiarato di non essersi curato dopo aver individuato una malattia (7% gli italiani): il 90% perché non aveva soldi per pagarsi le cure (70% gli italiani). Percentuali non troppo diverse. Segno che alcuni italiani cominciano a comportarsi come gli stranieri. Le vite dei più poveri cominciano ad assomigliarsi. Non è questo il tipo di integrazione che molti sognavano, eppure potrebbe non rivelarsi solo una tragedia scoprirsi uguali di fronte alle ingiustizie.