A Comina, zona nord di Pordenone, zona industriale, è sorto un piccolo accampamento di fortuna dove migranti in attesa di essere regolarizzati sono costretti a vivere. Con teli di nylon e altri materiali recuperati, afghani e pakistani hanno costruito delle piccole capanne. Non c’è luce, non c’è acqua e anche qui come a Gorizia (vedi il manifesto del 13 novembre) mancano i servizi igienici. «Il sindaco asserisce che organizzare un dormitorio degno attirerebbe molte più persone, pensiero comune di chi amministra in questa regione. Sono persone che senza documenti non possono neppure accedere alla Hub che già funziona qui. Aspettano di svolgere le loro pratiche burocratiche, da qualche parte devono stare. Finiscono per dormire all’aperto, sparsi in diversi luoghi della città. In condizioni terribili», racconta Gabriella, una delle volontarie che offre ogni giorno aiuto a queste persone. Fa freddo a Pordenone. In un video il sindaco Alessandro Cipriani giustifica la situazione dicendo che non bisogna farsi prendere dal «facile umanitarismo».

Eletto nelle fila di Fratelli d’Italia, Cipriani porta avanti un percorso già avviato dal suo predecessore, Claudio Pedrotti del Pd, che con le ordinanze «anti bivacco» ha costretto queste persone a vivere ai margini della città. Il successore ha reso se possibile ancora più difficile la loro vita. La Cri ha proposto l’apertura di un dormitorio, l’amministrazione si è messa di traverso. «Parliamo di una settantina di persone. Sono in strada perché devono risolvere le pratiche. In media transitano in un anno un migliaio di persone. Molti sono soggetti vulnerabili, che non otterranno i documenti per poter poi partire alla volta di altri paesi. Di questi, che ne sarà?». Se lo chiede Elisabetta, un’altra volontaria: «La settimana scorsa la polizia municipale è passata nei luoghi dove queste persone si sistemano, vicino al palazzetto dello sport o al Bronx, in zona stazione, e ha pure sequestrato loro coperte e sacchi a pelo».

L’Hub di Pordenone invece viene descritta come un luogo accogliente. È gestita da Senis Hospes, che era in associazione temporanea d’impresa con la cooperativa Tre Fontane Roma, coinvolta in Mafia Capitale. Dopo gli scandali degli anni scorsi molte di queste cooperative si sono “ripulite”, spesso sono state commissariate e quindi non possono essere escluse dai bandi. «In attesa poi di finire nel processo di accoglienza diffusa o di prendere il volo verso altri paesi europei, i più fortunati vivono lì. Circa una settantina di persone. Perché non garantire un luogo caldo anche a chi sta fuori, visto che lo spazio ci sarebbe?», si chiede Alessandra, un’altra volontaria.

Sotto le tende, i racconti di chi vive fuori da qualsiasi percorso di accoglienza sono molto duri. Parlano di violenze subite in Bulgaria o Ungheria da parte della polizia di frontiera. Qualcuno porta ancora i segni di queste atrocità e ci tiene a mostrarceli. Tre giovanissimi che dormono dentro un’auto abbandonata a pochi chilometri da qui hanno negli occhi ancora lo spavento di quanto vissuto in Ungheria, dove uno di loro è stato torturato con degli elettrodi. Francesca e Luigina si vede che hanno confidenza con loro e li invitano a raccontare ciò che tante altre volte hanno ripetuto. Uno di questi è giunto in Italia aggrappato al fondo di un Tir. Quando racconta di quelle ore a pelo d’asfalto sembra quasi riviverle. Sparsi in diversi punti della città, questa settantina di disperati devono anche fare i conti con l’intolleranza. Gli episodi di razzismo sono stati numerosi. Come a Gorizia.

E proprio mentre parliamo arriva la notizia che l’amministrazione di Gorizia ha deciso che oggi, venerdì, la galleria Bombi verrà chiusa con delle reti di metallo e i migranti trasferiti. Non è dato sapere dove.