Di nuovo c’è il fatto che l’Europa ha deciso di dar vita a un «Gruppo di contatto sul Mediterraneo centrale» che faccia da punto di unione tra la Commissione europea e i paesi dell’altra sponda del Mediterraneo maggiormente coinvolti dai flussi di migranti, primi fra tutti Libia, Algeria e Tunisia. Per il resto – nonostante l’enfasi data all’appuntamento – il vertice che si è tenuto ieri a Roma tra i ministri degli Interni di alcuni paesi europei e dei tre paesi nordafricani non ha fatto altro che ribadire decisioni già annunciate a febbraio al termine del vertice di Malta e, prima ancora, nell’incontro avuto dal premier Paolo Gentiloni con il primo ministro libico Fayez al Sarraj. Decisioni che dovrebbero tradursi in maggiori investimenti economici e in mezzi utili alla Libia per contrastare le partenze dei barconi dalle proprie coste. Come questo sia possibile in un paese sempre più instabile e che lo stesso Sarraj sembra controllare con sempre maggiore difficoltà, è tutto da vedere.

Un po’ a sorpresa a Roma si presenta anche il premier libico, la cui partenza da Tripoli è stata in forse fino all’ultimo minuto. Ai leader europei Sarraj ha chiesto sostanzialmente aiuto per arginare la crisi che investe il suo paese. In sostanza la conferma di un riconoscimento politico che spera possa aiutarlo a rafforzarsi all’interno della Libia, visto che l’Europa lo accredita come l’unico interlocutore affidabile. Ma anche misure tangibili con cui rispondere alla principale richiesta degli europei, vale a dire fermare i flussi di migranti. «La stabilità della Libia e la lotta ai trafficanti di uomini sono due facce della stessa medaglia», spiega non a caso il ministro degli Interni Marco Minniti, padrone di casa dell’incontro di ieri.

Il gruppo di contatto, al quale partecipano i ministri degli Interni di Italia, Malta, Germania, Svizzera, Austria, Francia, Slovenia, Tunisia e Libia, i paesi che si sono visti ieri, servirà a reperire le risorse necessarie ai paesi africani, mutuando il metodo di lavoro già adottato l’anno scorso per arrivare all’accordo siglato con la Turchia. Dal punto di vista economico per ora sul piatto ci sono solo i 200 milioni già stanziati dall’Italia per il Fondo Africa e altri 200 messi nello stesso fondo dall’Unione europea. Di questi, ha spiegato il commissario europeo all’Immigrazione Dimitri Avramopoulos, presente anche lui al vertice, 90 milioni sono destinati alla Libia. Poco, anzi pochissimo se è vero che Serraj avrebbe chiesto aiuti per almeno 800 milioni di euro per la sola Libia (cifra circolata sempre ieri ma sulla quale dal vertice non è arrivata nessuna conferma ufficiale). «Le risorse si troveranno, l’importante è attivare il meccanismo degli aiuti», spiega però chi ha assistito all’incontro dei ministri.

Diverso il discorso per quanto riguarda uomini e mezzi. L’addestramento della nuova guardia costiera libica da parte della missione europa Sophia è praticamente concluso e i primi 90 marinai libici riceveranno tra aprile e maggio le 10 motovedette promesse dall’Italia. Una volta operativi dovranno fermare i barconi alla partenza, salvare i migranti in difficoltà riportandoli indietro fino al porto di partenza, dove verranno alloggiati nei campi. E qui l’accordo si fa preoccupante. «Il rispetto dei diritti umani è prioritario», ha garantito Minniti ricordando come sul punto vigileranno Unhcr e Oim, ma sorvolando sul fatto che il governo Serraj è in grado di controllore solo una minima parte dei campi in cui oggi vengono richiusi i migranti.

L’impegno che l’Europa chiede alla Libia non riguarda però solo le coste. Bruxelles vuole soprattutto mettere fine agli arrivi dei migranti sigillando i confini con Niger e Ciad – i due principali paesi di transito dei migranti – dove, nella regione Fezzan, già sorgono alcuni campi profughi. Per raggiungere lo scopo Roma e Bruxelles sono pronte a fornire un cospicuo numero di jeep insieme a sistemi radar e visori notturni, ma anche a contribuire alla formazione di un moderno corpo di guardie di frontiera.

Il problema, per quanto riguarda il sud della Libia, è che non si capisce con chi si sta starebbe trattando visto che il Fezzan non rientra tra le aree controllate da Sarraj ed è anzi popolata da tribù che finora si sono dimostrate ostili al premier libico.

Le cifre degli sbarchi spingono il governo ad accelerare nella ricerca di un accordo con la Libia. Gli ultimi dati del Viminale parlano di 18.232 arrivi dal primo gennaio al 20 marzo, il 31,88% in più rispetto allo spesso periodo del 2016. «L’Italia è sottoposta a una fortissima pressione, ma Roma non è sola», ha detto ieri Avramopoulos. Sarà anche vero, ma intanto i ricollocamenti – sui quali si dovrebbe manifestare la solidarietà europea – restano al palo: dei 40 mila promessi finora ne sono stati fatti poco più di 4.000.