«Impedire oggi i pogrom di domani. Protezione ai rifugiati invece di comprensione per i razzisti». Così recitava lo striscione che apriva il corteo che ieri pomeriggio ha attraversato Dresda: oltre 5mila antifascisti decisi a mostrare che le strade e le piazze, lì come altrove, non possono essere lasciate alle scorribande dei neonazisti. Un risultato oltre le aspettative del coordinamento Dresden Nazifrei («Dresda libera dai nazi»), promotore della marcia, che si attendeva non più di un migliaio di partecipanti. Un importantissimo segnale di vicinanza e solidarietà ai richiedenti asilo, ma anche un durissimo atto d’accusa nei confronti della classe politica di governo: quella della Sassonia e quella federale.

I gruppi antifascisti militanti, i partiti di opposizione e molti analisti concordano: l’ondata di violenza razzista che da giorni si abbatte sui centri di accoglienza doveva e poteva essere impedita. La Germania “ufficiale” ha colpevolmente sottovalutato l’estrema destra, a volte mettendola persino sullo stesso piano della sinistra degli Autonomen e del movimento delle case occupate, secondo la fallace ma inossidabile teoria degli «opposti estremismi». La Sassonia, il Land di cui Dresda è la capitale, è la quintessenza di tale approccio al fenomeno neonazista: l’amministrazione democristiana (Cdu) – eternamente alla guida della regione – ha sempre profuso scarsissimo impegno nel contrasto dei nostalgici di Hitler. O l’ha fatto in modi molto discutibili, come accaduto nei giorni scorsi in seguito agli incidenti nella cittadina di Heidenau, luogo-simbolo di questa estate di violenza: proibendo tutte le manifestazioni. Anche quelle pro-rifugiati.

L’ordinanza di «divieto di riunioni pubbliche», una vera e propria sospensione del diritto fondamentale di riunione (garantito dall’articolo 8 della Costituzione tedesca), doveva valere per tutto il territorio comunale di Heidenau per l’intero fine settimana. L’ordine pubblico è competenza dei Länder, e l’argomento-chiave nella motivazione dell’amministrazione sassone era: «Abbiamo troppi pochi poliziotti». Una scusa, visto che è prassi che, nelle situazioni più calde, le regioni limitrofe “prestino” gli agenti necessari. Dopo due giorni di furibonde polemiche e diatribe legali, lo «stato di eccezione» voluto dall’amministrazione democristiana è stato definitivamente revocato ieri dalla Corte costituzionale, che in Germania ha il potere di dirimere con urgenza le controversie riguardanti i diritti fondamentali. Ieri sera, così, si è potuta tenere un’iniziativa pubblica a sostegno dei richiedenti asilo.

Nel mirino degli antifascisti anche l’eccessiva tolleranza politica nei confronti di movimenti come Pegida, i sedicenti Patrioti contro l’islamizzazione dell’Occidente che hanno settimanalmente attraversato le strade di Dresda scandendo slogan xenofobi. Per l’establishment politico non si trattava di razzisti da isolare, ma di «cittadini preoccupati», le cui ansie andavano «prese sul serio», come denunciato ieri dal quotidiano progressista die Taz in un durissimo commento firmato da Konrad Litschko.

La mancata reazione contro Pegida ha quindi galvanizzato il mondo della destra più radicale e violenta, che si vive come avanguardia di una più vasta area grigia di «normali cittadini» imbevuti di odio contro gli stranieri (e i «diversi» in generale). Il «cambio di passo» della cancelliera Angela Merkel degli scorsi giorni è, per queste ragioni, apparso a molti antirazzisti come tardivo. E il corteo di ieri ha messo in luce anche un’altra contraddizione del governo tedesco: «Il mito del pareggio di bilancio impedisce gli investimenti necessari nell’accoglienza dei profughi».

Di fronte all’escalation di violenza (altri episodi si sono registrati a Pasewalk, nel Meclemburgo, e a Salzhemmendorf, nella Bassa Sassionia), riprende vigore l’ipotesi di mettere al bando la Npd (Nationaldemokratische Partei Deutschlands), il principale partito dell’area dell’estrema destra. Una forza che si muove, teoricamente, nei limiti della legalità, ma che, in realtà, è dietro a molti attacchi ai centri di accoglienza.