La manifestazione «March for Homes» di ieri è partita dai quartieri est e sud di Londra per ricongiungersi davanti al municipio della città. Le due zone, tradizionalmente popolari, sono tra le più colpite da processi di gentrificazione che costringono un numero sempre maggiore di persone ad allontanarsi dal centro o persino a trasferirsi in altre città. Sindacati, organizzazioni politiche, ma soprattutto moltissimi gruppi locali auto organizzatisi nei vari quartieri per lottare contro la distruzione di interi complessi di case popolari o ad «affitto abbordabile» ricomprati da investitori privati.

Come le mamme del Focus E15, giovani donne con figli a carico e spesso disoccupate, espulse nel 2013 dall’ostello in cui vivevano dopo che il comune laburista del Newham, a est di Londra, aveva deciso di non finanziare più tali alloggi sociali. O come moltissimi altri abitanti che sempre più spesso si organizzano nei centri abitati minacciati di «rigenerazione urbana». Sono circa 50 in tutta Londra i complessi ricomprati da investitori privati, per essere distrutti e sostituiti da residenze di lusso che la vasta maggioranza dei londinesi non può permettersi. Come le 54.000 case attualmente pianificate o in costruzione, che saranno messe in vendita a circa un milione di sterline, mentre le case a prezzi abbordabili rappresentano solo un quinto di quelle progettate.

Il veloce cambiamento della città non è quindi solo paesaggistico, ma inevitabilmente sociale e culturale, e sta trasformando Londra in un “ghetto per ricchi” e in un enorme centro commerciale. I progetti di rigenerazione e sviluppo messi in atto in vista dei giochi olimpici del 2012 avevano già sollevato forti polemiche e movimenti di protesta contro la distruzione di numerose case popolari nell’est londinese sostituite da parchi olimpici e infrastrutture sportive. Strutture che il comune riesce difficilmente e occasionalmente a riutilizzare, dopo i giochi olimpici. La situazione è andata aggravandosi, tanto più che il sindaco conservatore Boris Johnson ha dichiarato più volte la sua benevolenza nei confronti di investitori privati stranieri che puntano sul mercato immobiliare della capitale britannica, lasciando spesso interi immobili vuoti per anni, e che rappresentano oggi circa l’80% degli acquirenti.

I progetti di demolizione e sviluppo non risparmiano neppure i luoghi “anima” della città: buona parte del mercato di Camden Town è già stata ricomprata per costruirvi appartamenti di lusso; l’occupazione del 12 Bar ha permesso di pubblicizzare la distruzione progressiva della famosa Tin Pan Alley, quartiere storico del rock indipendente inglese, dove i famosissimi bar vengono rimpiazzati da catene internazionali di fastfood e negozi.

Ma le occupazioni e i movimenti di protesta si sono moltiplicati in questi ultimi mesi per denunciare la crisi abitativa e la discriminazione nei confronti di abitanti non britannici, e per richiedere un tetto massimo sugli affitti e la costruzione di nuove case popolari. In una città in cui i costi dell’abitare sono già estremamente alti e continuano a crescere, dove i salari reali sono in costante calo e il numero di senzatetto non accenna a diminuire, il diritto alla casa e alla città sta risvegliando lo spirito di protesta dei londinesi di ogni origine, che ieri hanno mostrato tutta la loro volontà di riprendersi la loro città.