Il libro di Migjeni mi ha incuriosito, in prima battuta, perché negli anni Trenta era venuto in Piemonte. Lo scrittore albanese nacque a Scutari nel 1911 e studiò nel seminario ortodosso a Monastir in Macedonia. Dopodiché si trasferì a Torre Pellice, nelle valli valdesi in provincia di Torino. Nel 1938 morì di tubercolosi nel sanatorio San Luigi, soprannominato «la casa dei disperati» in un suo breve scritto del 15 maggio di quell’anno. In quel periodo a Torre Pellice era approdata anche Marina Gersoni, nata a Riga nel 1925 da padre ebreo lettone e madre piemontese di fede valdese. Nota ai lettori con il cognome del marito, Jarre, Marina è stata una delle scrittrici che hanno segnato il Novecento. Scomparsa a Torino nel luglio del 2016, Marina Jarre si definiva bastarda ed eretica. Era una cara amica, le sue ceneri sono state disperse nelle sue valli. La copertina del libro di Migjeni – fronde di alberi su cui volano, liberi, gli uccelli – mi ha fatto tornare in mente quei luoghi, aspri e taglienti come la scrittura di questi due scrittori tanto diversi ma entrambi migranti e giunti nelle valli valdesi dove da secoli vive una minoranza che era stata a lungo perseguitata.

Veniamo a Migjeni e al suo libro. Migjeni è lo pseudonimo del poeta e scrittore albanese Millosh Gjergj Nikolla. Il libro, recentissimo, è stato appena dato alle stampe dall’editore pugliese Besa. Si tratta di una raccolta di racconti dal titolo «La bellezza che uccide» tradotti da Adriana Prizreni con una nota di Raffaele De Giorgi (pp. 184, euro 15). Tra questi racconti, «Idoli senza testa» affronta il tema del potere e narra di una terribile tempesta che fa crollare gli idoli, alcuni vengono ridotti in polvere, altri decapitati. La reazione della gente? Coloro che erano vissuti al tempo degli idoli li rimpiangono e auspicano di essere da loro salvati. Gli altri vorrebbero adorare, credere, ma non sanno a chi volgersi. Di certo saranno costruiti nuovi idoli, in linea con la morale del tempo, scrive Migjeni.

Un altro racconto di attualità è la «Novella sulla crisi» di cui è protagonista l’élite al potere in uno stato che non sa che decisioni prendere per affrontare il momento difficile. La grande povertà ha costretto molte persone ad afferrare il bastone del mendicante e molte donne, con i lattanti in braccio, a tendere la mano per chiedere l’elemosina. Ma di questo, l’élite al potere se ne infischia. A convincere l’élite al potere che c’è poco da scherzare sono i bastoni alzati dai mendicanti, i saccheggi, i furti, gli omicidi. L’élite si raduna in fretta, per discutere seriamente la questione da tutti i punti di vista. Si decide, infine, di reprimere i sentimenti di tutte le persone manipolando l’arte, che smette di essere espressione di libertà.
Migjeni fu tra i primi poeti albanesi ad abbandonare la lunga tradizione del nazionalismo romantico. La sua raccolta di poesie «Vargjet e lira» (Versi liberi) fu pubblicata nel 1936 ma subito fatta ritirare dalle autorità del tempo per essere pubblicata a Prishtina nel 1980 e poi tradotta in diverse lingue. Scrisse in un dialetto albanese antico, il ghego, con un vocabolario limitato rispetto all’albanese moderno. La sintassi è essenziale, il linguaggio incisivo, la punteggiatura originale con le sue lineette che hanno valore sia sospensivo sia connettivo o separativo. Particolari, questi, riportati dalla traduttrice Adriana Prizreni in una nota esplicativa in cui viene ringraziato, tra gli altri, il ministero della Cultura albanese per aver finanziato la traduzione italiana dell’opera completa di questo autore.