Miden, l’ultimo libro di Veronica Raimo (Mondadori, pp. 208, euro 18,50) oltre a essere un titolo è l’unico nome che compare nel testo; niente altro lo merita se non questo sistema perfetto in cui coloro che hanno avuto la possibilità di entrare devono assolvere al proprio dovere, coincidente con il rispettare il sogno su cui si fonda una comunità. Per farlo, chiunque sia stato ammesso ha il dovere di diventare consapevole dei propri «desideri reali» e di vivere perseguendoli, seppure nell’adeguamento alle regole del posto. La storia che Veronica Raimo inserisce in questa scatola di perfezione è ambientata in un tempo che sembra futuro, come in ogni visione distopica che si rispetti, ma può facilmente coincidere con il presente che viviamo, mentre la sua collocazione geografica non identificata rispecchia inevitabilmente l’immagine che abbiamo della penisola scandinava, che nella narrazione popolare è appunto il paradiso della correttezza e dell’efficienza umane.

NELLA DESCRIZIONE che ne dà Veronica Raimo Miden risulta, però, del tutto indesiderabile, perché nel suo funzionamento progettato al fine di migliorare la condizione di vita dei propri abitanti, esso svela in modo inequivocabile la banalità asfissiante del benessere. Non casualmente, a condurci nella scoperta di come la gioia non coincida con la realizzazione dei sogni della società, è una coppia eterosessuale in attesa di un figlio, a cui l’autrice dà voce con esatta alternanza. Più precisamente a parlare sono i pensieri di «compagna» e «compagno» che raccontano le reazioni ai fatti che avvengono a partire dal momento in cui la loro stessa permanenza a Miden viene messa in dubbio.
Attraverso un processo basato sulla compilazione di questionari, la Commissione deve decidere se il protagonista, accusato di stupro da una studentessa, può ancora godere del privilegio di vivere a Miden. Non esiste un tribunale vero e proprio: la decisione verrà a presa sulla base di testimonianze e analisi psicologistiche, anche a partire dalla sua vita insieme alla donna che lo ha raggiunto lì e da cui ora aspetta un figlio.

È INTERESSANTE notare che la ragazza (anche lei senza nome) che lo accusa, ha deciso, come in fatti di cronaca recente, di denunciare il suo professore alla Commissione dopo che la loro relazione si era conclusa da un pezzo. La ragione è che si è resa conto solo successivamente di aver subito un trauma, opportunamente definito e numerato nel codice di Miden. Significativo, poi, che per il professore l’arrivo a Miden, l’approdo in paradiso, abbia coinciso con quella relazione trasgressiva e violenta. Ottenuto il permesso di abbandonare «il paese» in cui viveva, di lasciarsi alle spalle «il crollo», la crisi, l’uomo aveva dimostrato che la responsabilità del fallimento non era sua, ma del sistema sfinito da cui proveniva: essere ammessi a Miden ne era la prova lampante. Questo senso di vittoria, però, si tramuta immediatamente in una trita volontà di potenza che esercita sulla studentessa, condividendo con lei delle pratiche sessuali che, nella rilettura a posteriori data dalla ragazza, sono atti di subordinazione e di sopruso.

EPPURE, una delle poche parti del romanzo in cui il piacere trova legittimo posto nella realtà è quella dedicata all’esperienza di insegnamento che l’uomo svolge all’Accademia di Miden e non solo perché la gerarchia del rapporto insegnante-studente nutre il suo desiderio di potere, ma per una cosa che è vera quando si ama insegnare: la gioia di vedere gli alunni dare importanza a ciò che davvero lo ha, anche se poi lo dimentichiamo, la conoscenza. Osservarli nella loro dedizione totale a questioni che il mondo reale giudica futili, intellettuali, buone per i perditempo e sapere che «il destino del mondo è nelle loro mani». La protagonista si renderà conto tardi del fatto che il suo compagno amava insegnare: lei lo ha seguito principalmente perché non aveva niente da perdere, rimanendo con lui anche perché apparentemente incapace di conoscere proprio i suoi «desideri reali». A quanto pare, però, esistono condizioni esistenziali in grado di rivoluzionare la nostra attitudine alla vita, mentre resta sempre vera la possibilità di diventare carnefici, quando si è state a lungo vittime degli accadimenti