Sono minuscole come briciole di pane e leggere come granelli di polvere, ma hanno un impatto devastante, soprattutto per l’ambiente marino: sono le microplastiche, frammenti di oggetti e delle fibre sintetiche che compongono i nostri indumenti, polvere di pneumatici, o espressamente prodotte per diversi impieghi. Sono di dimensioni inferiori ai 5 millimetri, così piccole che i normali filtri non riescono a trattenerle. Riempiono i mari e gli oceani, depositandosi sul fondo. Spesso trasparenti, questi frammenti assorbono e concentrano gli inquinanti disciolti in mare, e rilasciano additivi plastici, danneggiano il tessuto con cui vengono in contatto e trasportano agenti patogeni.

Impattano dal plancton ai grandi animali marini come le balene; sono ormai parte integrante e inevitabile della dieta dei pesci che finiscono sulle nostre tavole. Per questo la loro invisibile presenza è ritenuta una delle sei emergenze mondiali dell’ambiente.

Il 35% di queste microplastiche arriva dalla degradazione dei tessuti: ad ogni lavaggio sono milioni le fibre microplastiche che attraversano i filtri della lavatrice e finiscono negli scarichi. In un recente studio (A New textiles economy, novembre 2017) la fondazione Ellen MacArthur (che promuove il passaggio ad una economia circolare nell’industria del tessile) afferma che ogni anno mezzo milione di tonnellate di microfibre vengono scaricate negli oceani dalle nostre lavatrici. Una quantità pari a oltre 50 miliardi di bottiglie di plastica.

L’acrilico, di cui si trova una percentuale in quasi tutti i nostri abiti, è uno dei tessuti più inquinanti: libera circa 730.000 minuscole particelle a lavaggio, cinque volte in più del poliestere. Per ridurre il problema si dovrebbero lavare gli abiti con meno frequenza, a basse temperature e con basse centrifughe. Entrambe queste fibre sintetiche potrebbero essere sostituite da altre, naturali e più sostenibili. Ma il «pronto moda», che confeziona abiti a basso costo e che durano poco, si basa soprattutto sul loro uso, perché sono economiche, e permettono quindi di mantenere i prezzi bassi.
Purtroppo un qualsiasi oggetto di plastica può decomporsi in microplastiche: «Anche un sacchetto di plastica biodegradabile, se non riciclato in maniera corretta, per esempio se arriva al mare, si frammenta in tanti piccoli pezzi e crea danni», spiega Simona Clò, responsabile scientifico di Medsharks (parte del progetto Clean Sea Life, finanziato dall’Unione Europea per informare e sensibilizzare sul problema della plastica in mare).

Con la collega Eleonora de Sabata, Clò ha realizzato uno studio sulla presenza di un particolare tipo di microplastica, quella presente nei prodotti cosmetici. Lo studio afferma che i cosmetici non sono la principale fonte di emissione delle microplastiche, ma questa è una forma di inquinamento particolarmente «occulta», e i consumatori non sono consapevoli.

Ogni giorno sono 24 le tonnellate di polveri di plastica che derivano dall’uso dei cosmetici che si riversano solo nei mari europei. Il totale è di 8.600 tonnellate ogni anno, dato «incommensurabile», secondo lo studio di Medsharks. Il problema maggiore è rappresentato dal polietilene, e dalle microplastiche solide, utilizzate nei prodotti esfolianti da risciacquo, o nei dentifrici.

«Purtroppo il polietilene figura tra i principali componenti anche di prodotti molto costosi, e anche di cosmetici che si presentano come naturali», continua Clò. Obiettivo di questo studio è quindi quello di spingere i consumatori ad acquisti più consapevoli e a non farsi fuorviare da comunicazioni ambigue sulla naturalità dei prodotti, a partire da una corretta lettura delle etichette. «Nelle etichette gli ingredienti sono messi in ordine di importanza, a partire da quello maggiormente presente. E il polietilene compare sempre tra i primi quattro componenti».

L’uso di microplastica nei prodotti cosmetici è già proibito negli Usa, in Irlanda, in Gran Bretagna, in Canada, in Nuova Zelanda. Nell’ultima finanziaria l’Italia ha approvato una legge che vieta l’uso di cotton fioc non biodegradabili e che mette al bando l’uso di microplastiche nei cosmetici a partire dal primo gennaio 2020. Una data ancora troppo lontana per il Mediterraneo, uno dei mari con la più alta concentrazione al mondo di microplastiche: il 92% della plastica presente nel Mare Nostrum è più piccola di 5 millimetri.

Un recente studio pubblicato su Nature, dal titolo The Mediterranean Plastic Soup, svela che in alcuni punti del nostro mare la concentrazione di microplastiche è la più alta del mondo: una media di 1,25 milioni di frammenti di plastica a chilometro quadrato, contro i 335mila del Pacifico. Una concentrazione che non è omogenea, e va dai 10 chili per chilometro quadrato tra la Corsica e la Toscana, fino ai 2 chili del nord est della Puglia e delle co ste occidentali di Sicilia e Sardegna.

Purtroppo però questo tipo di contaminazione riguarda anche le acque dolci: i campionamenti di Goletta dei Laghi 2017 di Legambiente, realizzati in collaborazione con Enea, hanno registrato alti livelli di microplastiche anche nei laghi italiani.
«Siamo partiti dal presupposto che quello che troviamo sulle spiagge e nei mari, per l’80% ha origini terrestri e viene trasportato attraverso i fiumi» spiega Giorgio Zampetti, coordinatore della presidenza del comitato scientifico di Legambiente. «Le microplastiche sono studiate negli ambienti marini, ma poco nelle acque dolci. Il dato più eclatante è che non c’è campione esente da questa contaminazione».

Como e Maggiore sono i laghi più contaminati, con picchi di oltre 500mila particelle per km2. I valori più bassi sono quelli del lago di Garda e del Trasimeno. I vettori di questo inquinamento sono i fiumi, che presentano valori di microplastiche più alti dopo gli scarichi dei depuratori, che non filtrano le microplastiche.

«Servono politiche di buona gestione su tutto il bacino idrografico, attività di sensibilizzazione e azioni efficaci di prevenzione. Il monitoraggio delle microplastiche deve essere inserito tra le attività istituzionali di controllo ambientale, anche sulle acque interne», conclude Zampetti. Anche grazie al bando di cotton fioc e di microplastiche nei cosmetici la strada è tracciata. Ora dobbiamo evitare che, da qui a quando questi provvedimenti entreranno in vigore, ci sia un aggravio della  situazione».