Intoxicated Women, uscito nel 2017, è il quarto album che Mick Harvey ha dedicato alle canzoni di Serge Gainsbourg. Una tetralogia che il chitarrista, ormai artista solista a tempo pieno da quando ha lasciato i Bad Seeds di Nick Cave, ha iniziato nel 1995. Il prossimo 5 maggio porterà questo repertorio dal vivo in Italia per un’unica data al Teatro Novelli di Rimini, all’interno dello Smiting Festival.
Quattro album dedicati a Gainsbourg, ora un tour. C’è chi l’ha definita una mania o il progetto di una vita.
È un lavoro a cui sono tornato dopo vent’anni, incidendo altri due album. Penso nella mia carriera di aver suonato in 60 o 70 dischi quindi non penso sia il progetto di una vita e neppure una mania. Quando incisi i primi due dischi lo feci perché vidi che era una sfida tradurre in inglese le canzoni di Gainsbourg. E decisi di accettarla. Poi sono tornato a lavorare con Nick e i Bad Seeds, a incidere con PJ Harvey e a lavorare a altri dischi solisti. Ci sono voluti vent’anni prima che ritornassi su questo repertorio.
Il tuo interesse per l’artista francese iniziò a Berlino negli anni ’80 quando tu, Nick Cave e i Bad Seeds decideste di trasferirvi lì…
A Berlino avevamo tanti amici e c’era una scena molto viva con una grandissima interazione e contaminazione tra forme artistiche differenti. Un po’ come avevamo sperimentato un tempo a Melbourne. Ci sentivamo a casa. Londra non era stata affatto così per noi. Era un posto dove eravamo rimasti molto isolati. Era un mondo artisticamente chiuso in cui o ti affermavi definitivamente o eri relegato all’ultimo gradino. L’esperienza di Berlino fu rinvigorente. Arrivammo nel 1982 e poi ci trasferimmo più stabilmente un paio d’anni dopo. Fu un periodo grandioso e molto positivo per la band e per tutti noi. Qui, attraverso un mio amico, l’attore Olivier Picot, conobbi Gainsbourg e la sua musica.
Quando hai capito di poter lavorate sulle canzoni di Gainsbourg?
La consapevolezza di poter lavorare con successo sulle canzoni è arrivata traducendo i testi, prima di incidere. Lavorando sulle parole. Quando cominciai non ero sicuro se la cosa potesse funzionare o se sarei stato completamente contento con le traduzioni che stavo facendo. Ma mi accorsi che c’era un numero sufficiente di canzoni in cui ero davvero interessato e pensai che stavano venendo nel modo giusto.
Dicci qualcosa del concerto che porterai in Italia. 
La cosa interessante di questi spettacoli è scoprire quanto siano divertenti. Gran parte dei gruppi di cui ho fatto parte o con cui ho suonato sono sempre stati difficili da qualche punto di vista. Hanno sempre richiesto un certo impegno al pubblico, qualcosa di più del solito battere le mani sopra la testa e passare una bella serata. Il materiale di Serge è estremamente coinvolgente e per me è insolito, perché io non sono di natura un intrattenitore. Sono sostanzialmente un musicista che sta sullo sfondo e non cerca la grande performance. Non faccio grandi canzoni, non ballo. Mi concentro sull’esecuzione musicale per renderla più efficace possibile. Ma con Gainsbourg è un’altra cosa. Gli show sono molto divertenti e per me è un’esperienza davvero bella.
Penso che ci sia una grande differenza nel suonare questo repertorio in Francia o in Italia dove Gainsbourg era molto conosciuto.
Non ho mai portato questo show in Francia. In inglese c’è un modo di dire che spiega tutto: «Sarebbe come portare il carbone a Newcastle» (nota area mineraria, ndr). Non sono molto al corrente della sua popolarità in Italia. Avrei pensato che fosse stato vittima di un certo pregiudizio culturale che solitamente divide la cultura italiana da quella francese. Ma forse mi sbaglio.
Intoxicated Women si concentra su duetti femminili e sulle canzoni che Gainsbourg scrisse per interpreti donne (alcune sue amanti). La sua relazione con il mondo femminile fu uno degli aspetti più intriganti della sua personalità. Che giudizio ti sei fatto?
La mia opinione è proprio che questo è uno degli aspetti più intriganti del suo lavoro. Che altro si può aggiungere?
Je t’Aime… moi non plus che per l’album «Pink Elephants» del ’97 fu cantata da Nick Cave e Anita Lane in Intoxicated Women l’hai tradotta in tedesco ed è cantata con Andrea Schroeder. Come è nata questa scelta?
Penso che parte dell’idea di cantarla in tedesco sia ispirata alla natura trasgressiva di Gainsbourg. So il tedesco e conosco diversi cantanti tedeschi, ma mi sembrava l’ultimo dei linguaggi che un francese riterrebbe accettabile per una canzone così rappresentativa della canzone francese. Così sono stato felice di farla in tedesco perché era provocatorio e per certi aspetti inaccettabile. Tutto molto in sintonia con lo spirito perverso di Gainsbourg. Curiosamente l’esito è stato di grande successo e il tedesco si è rivelato un linguaggio meraviglioso. Ce lo dimentichiamo spesso, ma era la lingua dei poeti e dei filosofi nell’Ottocento.
Un’altra sorpresa è Contact, in origine cantata da Brigitte Bardot; è incisa dalla cantante cambogiana Channty Kak, nota anche come Srey Thy (Alias del 14 ottobre 2014 ha raccontato la sua singolare storia). Purtroppo è tragicamente morta poche settimane fa in un incidente stradale. Come l’hai conosciuta e come la ricordi? 
L’ho conosciuta attraverso alcuni musicisti australiani (Glenn Lewis e Hugo Cran) che avevano suonato per la sua band The Cambodian Space Project e che hanno partecipato alle incisioni di Delerium tremens e Intoxicated Women. Mi suggerirono che Channty sarebbe stata perfetta per Contact, che si adattava molto alle sue caratteristiche. Quello che le è accaduto è una tragedia. Aveva un figlio e una famiglia e stava iniziando a lavorare a un nuovo progetto. È davvero molto triste.
Lavorando sulle traduzioni, hai scoperto qualcosa di particolare sul songwriting di Gainsbourg?
Un aspetto singolare è che nelle sue canzoni non usava mai il bridge. Nelle sue scelte melodiche c’è inoltre un qualcosa che è legato all’esperienza musicale europea e alla sua fusione con la musica Usa del XX secolo. Una contaminazione, quella tra stili europei e americani, che è anche molto diffusa in Australia e che quindi a me è risultata familiare.
Hai iniziato a suonate con Nick Cave 40 anni fa. Il lavoro che avete fatto sia con i Birthday Party che con i Bad Seeds negli anni è cresciuto sempre più in importanza e popolarità. Te lo saresti mai immaginato? 
Non avrei mai potuto immaginarlo. È sorprendente pensare quanto siamo diventati popolari. Quando iniziammo ero felice solo di fare musica e volevo solo riuscire a vivere con quello che mi piaceva fare. Magari si sognava qualche successo, ma non avrei mai pensato di raggiungere il livello che abbiamo raggiunto. Nei primi anni ’80 i Birthday Party iniziarono a vendere 10mila, 15mila copie ad album e io ero stupefatto perché non conoscevo più di persona chi comprava i nostri dischi. Sarei stato contento solo di ricavarmi da vivere suonando musica. Ma il successo certo è un bene perché ti dà delle sicurezze in un mondo con alti e bassi come quello del business musicale.
Qual è il tuo rapporto con i tuoi vecchi compagni. Come giudichi il lavoro che hanno fatto senza di te?
Gli ultimi due album di Nick con i Bad Seeds sono davvero eccellenti e devo dire che mi piace la direzione che hanno preso dopo che ho deciso di lasciare. Penso che tutto si stesse impantanando con me e quella fu una delle ragioni che mi spinse ad andarmene. Nick stava cercando di spezzare certi schemi e si è imposto questa direzione. È uno che cerca sempre di rompere le abitudini musicali in cui si ritrova. Il mio addio ha dato realmente un nuovo impeto anche solo per trovare un nuovo modo per fare le cose. Questo posso ascoltarlo sia in Push the Sky away che in Skeleton Tree, anche se in quest’ultimo disco per ragioni sicuramente molto diverse rispetto alla mia assenza dalla band.