«Questo mi ricorda Elvis. E la cosa non mi dispiace», dice la stilista di Michelle Obama Meredith Koop, mostrandoci una stella di scintillanti strass rosa forte, applicata sul davanti di una giacca dello stesso colore.

L’idea della rock star è evocata fin dalla prima inquadratura (un lungo movimento di macchina che segue «Michelle» da dietro, nei corridoi di un backstage) di Becoming, il documentario sul book tour dell’ex First Lady; ed era intrinseca all’architettura stessa della tournée promozionale del libro, con numerose apparizioni dell’autrice organizzate in stadi, come se si trattasse di Elvis o Beyoncé, piuttosto che in librerie o luoghi più raccolti.

Sete lucide e molto colorate, abiti lunghi e dal design pronunciato, tailleur da sera, tacchi vertiginosi, persino un po’ di lamé: anche gli abiti/costumi di Michelle Obama in quelle apparizioni fanno pensare più a un concerto che alla presentazione di un libro. Lo stesso vale per il controcampo di volti – in gran parte femminili, di tutte le età, che la ascoltano rapiti, l’espressione adorante. Quando non addirittura in lacrime.

Becoming, diretto da Nadia Hallgren (College Behind Bars) da oggi disponibile su Netflix, è la terza collaborazione tra la casa di produzione degli Obama e la piattaforma di Ted Sarandos.

Diversamente dai due documentari che lo hanno preceduto – American Factory, premio Oscar 2019, e Crip Camp, vincitore del premio del pubblico all’ultimo Sundance – Becoming è la prima delle produzioni della Higher Ground che coinvolge in modo diretto e visibile uno degli Obama.

Strutturato intessendo le presentazioni pubbliche alle interviste televisive concesse durante il book tour, con qualche clip di una conversazione più recente con la regista, il film ricalca l’essenza del libro, un ritratto della First Lady raccontato in prima persona, piuttosto che attraverso un caleidoscopio di testimonianze.

L’infanzia nel proletario South Side di Chicago, l’orgoglio per il nonno e l’amore per il padre, il professore che le disse che lei «non era materiale da Princeton» (l’università dove invece Michelle fu ammessa, poi seguita da Harvard), il corteggiamento («Ho capito che dovevo essere molto sicura di quello che volevo, in modo che gli obbiettivi di Barack non prendessero il sopravvento sulla mia vita»), le bambine, lo shock della vittoria elettorale fino al lungo pianto mentre l’Air Force la riportava a Chicago dopo l’ingresso dei Trump alla Casa bianca.

UN PIANTO dice lei, di sollievo: «Finalmente non dovevo più essere ineccepibile su tutto». Il film si muove veloce, di palcoscenico in palcoscenico, da un intervistatore celebre all’altro.

Barack Obama ha una scena, quando la raggiunge in un’arena di Chicago, galantemente armato di un mazzo di fiori. Le bambine appaiono poco «live», solo Malia offre qualche battuta mentre la mamma, visibilmente stanca, firma montagne di libri. Più presente la madre di Michelle, che da Chicago si era trasferita a Pennsylvania Avenue per vivere con loro durate gli anni della presidenza.

Anche davanti a migliaia e migliaia di persone, Michelle sa assumere il tono confidenziale, scherzoso, di una conversazione intima. Ottimo il timing comico, quando racconta degli aneddoti. Ma, ancor più del libro, il film si ferma sulla patinata superficie della storia esemplare, squarciata solo a tratti da momenti preziosi, come quando, durante un viaggio in macchina, Obama dichiara che la delusione più grande per lei non è arrivata da chi, nel 2016, ha votato Trump ma dai tanti afroamericani e donne che, in quell’occasione, non sono andati a votare.

NEI SUOI ANNI da First Lady, Michelle Obama ha evitato con cautela di imbarcarsi in cause potenzialmente controverse o di esprimersi in termini troppo specifici sul processo politico, legato alle battaglie di suo marito. Questa scelta ne ha fatto un personaggio decisamente più facile da amare di una First lady come Hillary Clinton (a sua volta soggetto di un recente documentario tv, prodotto da Hulu).

Una potenziale rock star. In quel senso, chi si aspettava che Becoming rivelasse qualcosa di più della storia esemplare – anche se non una carriera nella politica, che lei ha sempre detto di odiare (anche questa una grossa differenza con Clinton) – rimarrà deluso.

Come ha scritto un critico, il documentario è un po’ uno spot. Per che cosa, rimane ancora da scoprire.