Caro Michele Serra, conosci un albero resistente allo smog cittadino, capace di trattenere nelle sue foglie metalli pesanti ed in particolare il mercurio, conosci una pianta che senza spese per il contribuente spunti da sola, contando solamente sulle sue capacità di disseminare centinaia di migliaia di semi, ovunque l’uomo abbandoni le coltivazioni? Conosci una pianta che nonostante il suo odore repellente per gli umani, risulti tuttavia alle api molto gradito?

Questo albero, conosciuto ed apprezzato da millenni dai Cinesi che lo celebrano nella loro letteratura e ne usano corteccia e foglie per molteplici usi nella medicina tradizionale è l’ailanthus altissima, la pianta che, te ne vanti, ti pregi di sterminare, «esserne il più grande killer al mondo».

Ai lettori del Venerdì de la Repubblica mi piacerebbe raccontare una storia diversa. Mostrare una visione opposta di quella che tu ed il tuo lettore avete descritto. Prima di rispondere alla lettera sull’ailanto, hai scritto parole assolutamente assennate e condivisibili su Greta Thunberg e la catastrofe incombente, o meglio in atto, resa visibile a tutti anche grazie a questa giovane svedese.

Se centinaia di milioni, non saprei quantificare, ma più probabilmente, miliardi di alberi sono andati arsi solamente questa estate tra i roghi immani in Siberia, Amazzonia, Canada, in questo 2019 che ha visto milioni di ragazzi nelle piazze, non è più pensabile che una mentalità ormai da considerare sorpassata e pericolosa continui pervicacemente ad indicare in alcuni alberi delle specie aliene, invasive, infestanti da eradicare. E’ sbagliato, fuorviante, pericoloso. Abbiamo un bisogno disperato di alberi, se non ti piace l’odore dell’ailanto, a me, ai cinesi, alle api, piace moltissimo, dell’ailanto. Fattene una ragione. Nell’Europa passata attraverso i bombardamenti, tra le macerie composte da cemento ed acciaio, rifiuti, masserizie sparse, l’ailanto ha prosperato. Cresce bene questa pianta e velocemente laddove gli esseri umani degradano, bombardano, si uccidono tra loro. Laddove gli esseri umani abbandonano le colture precedenti.

In natura, per fortuna e Stefano Mancuso ce lo ha mostrato nelle sue ultime opere, il vuoto non esiste, dove alcune specie soccombono ne sopraggiungono altre. L’ailanto è una, solo una di queste, la robinia, cara al giardiniere del re di Francia, Robin, cara a Manzoni, è un’altra. Su queste pagine Giorgio Nebbia scrisse una pagina in sua difesa. I tempi stanno cambiando. Forse e non sono io a dirlo, sono scienziati più accorti di me, abbiamo bisogno di qualunque ausilio ci venga dalla natura per combattere desertificazione e inquinamento. L’ailanto si accontenta di crescere su suoli poveri, ai margini, non richiede cure, si moltiplica da solo e si dissemina gratis.

Caro Michele, anch’io, nel mio podere, laddove mi dovesse spuntare in mezzo alle coltivazioni, sradico decisamente e come te senza chimica, su questo concordo appieno. Ogni robinia o ailanto o anche frassini, allori, carpini, mi dovessero spuntare: viceversa non avrei un orto, un frutteto, un giardino dei quali ho bisogno. Tuttavia, quando spuntano nei margini, sulle balze più scoscese, lascio stare e sono contento. Mi trattengono il terreno e in ogni secondo con la loro fotosintesi fanno sì che io possa respirare. E non solo io. Un saluto.